assoluto dei regnanti, esalta le istituzioni giuridiche e morali che lo sorreggono. E’ così che Venceslao è pronto e fermo a pimire il figlio fratricida perché Popoli, da quel giorno, in cui vi piacque pormi in fronte il diadema, in man lo scettro, resi giustizia, e fui ministro delle leggi, e non sovrano. E’ così che nella «Licenza» finale l’autore stesso esclama: E l’Amore, e la Fè, che son de regni i più fermi sostegni. E’ così che il melodramma settecentesco si riallaccia alla ideologia rinascimentale della filosofia politico-religiosa del Campanella. Il tormentato scetticismo del Campanella si risolve nel pacato ottimismo del- lo Zeno. E la Polonia ne acquista in bellezza e vivezza. Altre allusioni ad essa nei simposi del Parnaso italiano si perdono senza traccia e senza lode (1). Silenzio di poesia celebrativa sulla Russia e falsi Demetri in romanzi e tragedie Saltuari e fiochi gli echi degli altri Slavi. La Russia per gli Italiani e per gli stranieri in genere a lungo non aveva avuto quella corte accogliente — e la diffidenza russa per gli stranieri ci è stata confermata da molte « relazioni » o « istruzioni » di viaggiatori e ambasciatori occidentali — e con l’estero, e con l’Italia in particolare, non aveva curato quelle relazioni cordiali e intense, che la Polonia invece aveva incrementato in mille modi. La poesia celebrativa e circostanziale italiana non ebbe quindi di che commuoversi e muoversi. Se mai alcune figure di regnanti russi, le une oscure e drammati- (1) Così la figura di un millantatore italiano, vestito alla polacca, nei « ragionamenti fantastici » o he bravure del Capitano Spavento (Venezia, 1607) del famoso comico e avventuriero Francesco Andreini. Così il fallito dramma sacro Stanislaus Kost\a (Roma, 1709) del gesuita Giovanni Luccaro (o Luccari) che, in tre atti, in stile ancora classicheggiante, ma senza azione drammatica e cpn mezzi e intenti scolastici, ritrae la vita del Santo polacco mentre col fratello S1 trova agli studi a Vienna e medita la fuga a Roma. Così la Vita di S. Jacinto scritta in versi da Francesco Chelli a Siena nel 1642. — 273 18