Nei primi, diretti alla cancelleria di Ferrara o allo stesso duca, egli ragiona « del sito, della natura, delle leggi, della forma di governo di Polonia » o dell’attività da lui svolta in Cracovia e, fatta eccezione delle vicende personali, non va certo più in là di quanto per esempio il Lip-pomano aveva relazionato. Nei secondi il cuore travagliato si apre alle confidenze e in queste, per quanto sappiamo, le informazioni storiche e politiche svaniscono di fronte alle preoccupazioni di ogni giorno e di fronte a divagazioni letterarie. La confessione più bella che il Guarini ci ha lasciato sulla Polonia appare invece in una lettera privata che egli scrisse nel 1576 ad Andrea Zborowski, maresciallo della Corte polacca, e che fu inclusa nell’epistolario suo destinato alla pubblicazione (1). Sono poche righe, per così dire, eppure da esse trapela, al di là di ogni interesse politico, la simpatia con cui il Guarini seguiva le sorti della Polonia ritornata serena dopo l’assunzione del nuovo re. In esse è espresso un giudizio che è divenuto quasi proverbiale fra polonisti italiani o italianisti polacchi e piace poterlo citare alla fine di un capitolo che nella letteratura ha cercato e trovato conferma a quanto è stato detto e fatto in altri campi della vita e della cultura rinascimentale d’Italia: « I luoghi son ben lontani, ma gli animi son vicini, e per quello che (ho) provato nello Studio di Padova, dove le pratiche sono aperte, e le inclinazioni si scuoprono senza interessi di stato, la nazione polacca è molto unita con esso noi; e volentieri passa in Italia ». Ben si meritava la Polonia questo elogio ed è ben giusto che l’Ate-neo padovano lo abbia ispirato (2). (1) Lettere di Battista Guarini di nuovo in questa seconda impressione di alcune altre accresciute, Venezia, 1595, voi. I, pag. 192. (2) Da altre confidenze epistolari ben scarse indicazioni potremmo carpire. Pietro Bembo, per esempio, nel suo epistolario ufficiale o ufficioso, cioè nelle epistole latine che ha scritto per incarico dei sommi pontefici, ha alcune lettere dirette « Sigismondo Poloniae Regi » (5), « Vladislao Pannoniae Boemorum regi » (7) e al figlio suo Lodovico (3), in cui si rispecchia la politica che la Chiesa romana svolgeva per rappacificare Polonia e Germania e, soprattutto, per preparare la lega della cristianità contro i Turchi; ma sono espressioni curiali, diplomatiche, che esulano dalla sua personalità. Cfr. P. Bembo, Epistolarum Leonis X. Pont. Max. ecc. libri XVI, Vicetiae, 1538, Lugduni, 1540, ecc. L’Aretino nel suo copioso, encomiastico e ricattatorio carteggio si rivolse, tra il 1536 ed il 1551, anche alla «Reina di Polonia» cioè a Bona Sforza e, nel 1548, al «Re di Boemia»; ma erano i soliti antipatici maneggi per scroccare qualche cosa, estranei a qualsiasi curiosità culturale o dato storico. Ci lascia indifferenti anche un passo di 162 —