tanti e studiosi per dovere d’ufficio o per amore alla loro disciplina. Si è dato, sì, il debito rilievo ai vari capolavori delle singole letterature slave e dei singoli autori, ma si sono tenute presenti tanto le opere che avevano un precipuo carattere slavo, quanto quelle che elaboravano in modo nuovo spiriti e forme occidentali; né si sono dimenticate le particolari creazioni che svolgevano temi italiani o che con l’Italia comunque avevano qualche attinenza. Molti autori slavi hanno fatto così la loro prima comparsa da noi; altri già prima tradotti, furono nuovamente tradotti per supplire a edizioni esaurite o difettose, per spirito di emulazione fra nuovi e vecchi traduttori e, infine, per iniziative degli editori che contavano sul successo, cioè sullo smercio di libri già « collaudati » dal gusto e dal favore dei « consumatori ». Le traduzioni vengono eseguite direttamente sull’originale o indirettamente da altre lingue. Quest’ultime, così abbondanti nei periodi precedenti, vanno ormai scomparendo (1). E scompaiono sempre più le brutte versioni che maltrattano a piacere l’originale omettendo e parafrasando interi passi. Sparisce il tipo caratteristico del traduttore-traditore e si fa sempre più impellente la versione integrale, scrupolosa, aderente, talvolta preceduta da ampie e pregiate introduzioni, che hanno il valore di veri saggi critici. Anzi tale è lo zelo della « fedeltà », che le versioni curano più l’aderenza al testo originale che non la estrinsecazione italiana e finiscono col non piacere, riuscendo addirittura meno brillano e fortunate delle deprecate traduzioni delle epoche precedenti. Ma ciò succede perché manca una vera coscienza del « tradurre » che dovrebbe essere « arte » e invece è « mestiere ». Chi è che, pur traducendo « fedelmente », si tormenta per cogliere ed esprimere adeguatamente tutte le finezze di pensiero e di forma che nella struttura intrinseca ed estrinseca del linguaggio poetico ci danno a pieno l’opera originale? Ricca la schiera dei traduttori. Ci sono professori d’università e dilettanti, slavisti autentici e profani, vecchi e giovani, uomini e donne, pedanti e faciloni. Chi traduce per lucro e chi per diletto o per ambizione, chi traduce costantemente e chi si arresta a singole opere. Di solito c’è chi traduce anche da più lingue. Non mancano gli Slavi stessi che traducono in italiano e, magari aiutati da altri, maneggiano talvolta la (1) Raro è ormai il caso di un’opera che ammetta di essere traduzione di seconda mano come questa : D’Abnour, Favole popolari della vecchia Russia, trad. dal francese da B. Vigna Dal Ferro, Lanciano, 1933, con illustrazioni del pittore F. Longo. 632 —