orali boeme, fanno riscontro profonda erudizione teologica e ampia cultura filosofica e letteraria, per la qual cosa S. Benedetto, S. Giorgio e Padri e Dottori della Chiesa si trovano assieme a Platone, Orazio, Terenzio, Virgilio e ad altri autori classici. La trama è tessuta con simmetria artistica e i caratteri dei personaggi sono rivissuti in acute introspezioni. Lo stile non è più pronamente chiesastico, ma si riveste di una nota personale, cui non è estraneo il colorito poetico nel maneggio del ritmo e nella scelta del lessico. Questa leggenda è un vero fiore di retorismo monastico, meridionale. E’ differente, quindi, è molto differente dalle leggende che, sorte nell’Italia settentrionale, rasentano la cronistoria e sono temprate da uno spirito secolare, terreno, ghibellino. Qui il senso della realtà storica è meno sentito, mancano particolari d’ambiente, i tratti reali sono piuttosto trascurati. Non è che questa « Passio » sia intessuta di leggende e di fantasia, perché, come dicemmo, anch’essa ha le sue buone basi storiche ed è bene informata, tanto che anche storicamente ha il suo valore ; ma in essa predominano il culto della forma, la ricerca dell’effetto esteriore, lo spunto retorico, il piacere dell’orecchio, lo sfoggio dell’erudizione. Ed è spesso sì poeticamente intesa ed espressa che più di una volta ne zampillano veri e buoni versi. Insomma si capisce che dominante è il letterato e non lo storico, anche se l’autore, forse, intese fare opera di storia. Per lo stesso motivo la figura di San Venceslao ha qui la sua rispettiva interpretazione. Anzi tutto è colta a preferenza la sua vita religiosa, la vita cioè del Santo: l’uomo-Venceslao è quasi obliato. Ma in genere qui la « vita » ha poco peso. Tutta la forza dell’opera si riversa sulla fine tragica di Venceslao. L’argomento è pateticamente letterario e l’autore ci trova gusto a svolgerlo ampiamente. E’ così che di dodici « lectiones » dell’opera sua ben otto — si noti la sproporzione — trattano della fine del Santo. Qui è il poeta, il retore, l’apologista che si scapriccia a suo bell’agio. Del resto già le prime battute preludono al pathos lirico, all’enfasi retorica e presentano, tra iperbati e metafore, Venceslao come uno che « super brumalibus septemtrionalis axis nivibus quasi novus eminens Titan, cunctum noxii torporis frigus noscitur reppulisse ». Nel corso della narrazione l’ammirazione per il Santo boemo aumenta di tono e di colorito e col ritmo di sonanti distici talvolta rimati si risolve in schietta poesia di classica fattura asservita all’innologia medievale. E allora a — 33 3