ne potremmo trovare nel Volterrano, nel Sabellico, nel Giambullari, nel Domenichi e via dicendo. E potremmo ancora dire che proprio al Piccolomini si deve il posto di primo ordine fra gli Slavi che la Boemia occupa nella storiografia rinascimentale d’Italia. Altro problema di scottante attualità politica e religiosa che concerneva anche gli Slavi: il pericolo turco. Vindice e protagonista degli interessi politici in Italia fu soprattutto Venezia che doveva salvaguardare i suoi possessi in Levante. Di qui i maneggi politici che cercavano di trarre profitto anche dagli Slavi cointeressati, da quelli della penisola balcanica ai Polacchi ed ai Russi. Di qui le relazioni sull’impero ottomano e i viaggi a Costantinopoli che riguardano anche gli Slavi soggetti o nemici ai Turchi e di cui si è già fatta parola. Alla Chiesa di Roma spettò la tutela e la rivendicazione degli interessi religiosi, ma con mezzi più reali che ideali, più battaglieri che pacifici. Con quest’ansia e con questa missione si è spento in Ancona, come abbiamo già visto, lo stesso pontefice Pio II che non riuscì a organizzare, anzi a guidare la crociata contro i Turchi. Con quest’ansia e con questa missione si è svolto il pontificato di vari altri suoi predecessori e successori. Gli Slavi della Balcania soprattutto e con essi i fratelli del ramo orientale e, più ancora, di quello nord-occidentale ne furono a lungo il fatidico baluardo e la Chiesa a lungo li accarezzò e li curò creando alleanze fra stati e predicando da vari pulpiti la laboriosa crociata. Secondo la necessità erano essi i fedeli, i fedelissimi figli, « fortissima propugnacula fidei... ». Già ai tempi di Urbano V, prima ancora che Bisanzio cadesse in mano ai Turchi, la Chiesa romana aveva cominciato a operare nei Balcani. Fu così che nel 1366 indusse il principe Amedeo di Savoia, cugino di Giovanni V Paleologo, a capeggiare dalla corte bizantina un movimento di difesa della Cristianità. Ma la spedizione savoiarda, i cui fidi erano vestiti di verde — da qui l’appellativo di Conte Verde — non sortì effetto per le rivaliltà che erano sorte fra Bulgari e Ungheresi. Senza successo pure il convegno di Viterbo che nel 1367 seguì alla suddetta spedizione e avrebbe dovuto conseguire la tanto auspicata unione delle Chiese (1). La Chiesa romana ebbe invece un valido, tenace, ardente appoggio (1) A. A. Bernardy, Bulgaria e Roma, Roma, 1941, pag. 36-38. — 139