o per il momento cui erano legate. Se, come dice il Mazzoni nel suo poderoso « Ottocento » (I2, 85), dopo il tanto tradurre del Settecento e il suo ammirare oltre che il buono anche il mediocre e il brutto degli stranieri contemporanei, nell’età successiva, relativamente, si tradusse poco dai moderni, per gli Slavi si è verificato invece il procedimento inverso. Di fronte cioè al periodo settecentesco e napoleonico, in cui addirittura non si sentì ancora il bisogno delle traduzioni, nella nuova epoca queste fecero presa. Si tradusse per tanto dal russo, dal polacco e dal serbocroato. Si tradusse direttamente dall’originale o da altre lingue. Varia la scelta, varia la fattura. Traduzioni fedeli e scrupolose o traduzioni d’arte non si fecero ancora notare. Cura principale era la divulgazione e con essa la glorificazione. Fascino della poesia popolare Materia attraente e gustosa alle traduzioni offrì la poesia popolare che dell’estetica romantica fu la beniamina perché rivelatrice portentosa di una nuova arte nazionale, in cui il popolo esplicava ed effondeva la sua spontanea e naturale genialità creatrice. E c’era ben di che bearsi ché il retaggio delle Muse popolari slave traeva le sue origini dall’età mitica, indefinita e nebulosa, in cui i protoslavi nel loro « habitat » originario erano intenti a sciogliere con forme e figure circoscritte gli e-nigmi della natura e i propri rapporti con la divinità, stimolati da una religione, che aveva essenza animistica e manistica e forma demonolo-gica. Al sostrato originario vi si erano addensati poi superstrati e ad-strati eterogenei e avevano creato nel corso di tanti secoli un mondo ideale e formale che rispecchiava il popolo nella sua storia, dalle origini all’epoca contemporanea, e l’uomo nella famiglia e nella società dalla culla alla bara. Era, come disse il Mickiewicz, un’« arca d’alleanza fra 1 tempi antichi e i moderni, in cui la nazione depone i trofei dei suoi eroi, la speranza dei suoi pensieri ed il fiore dei suoi sentimenti ». Bellissima fra le più belle — come dirà il Goethe della lirica — la poesia popolare serbo-croata. Essa fece la breccia in Italia e si inau-reolò di onori e tributi. La « scoperta » e la sua prima glorificazione spetta al Fortis, di cui abbiamo discorso a lungo. Sulla sua scia proseguirono altri ammiratori e cultori in quest’epoca, soprattutto dalmati, bene edotti delle bellezze e della lingua di questa poesia. 430 —