triste visione degli Slavi sottomessi ai Turchi. Similmente il Lìbellus de his, quae a Venetis tentata sunt, Persis ac Tartaris contra Turcos movendis (1) è relazione o critica di un fatto contemporaneo di politica veneziana e di politica europea, ma in sostanza è « peroratio » della causa polacca, è elogio della Polonia che doveva essere il primo e principale antemurale della cristianità perché: «Poloni, cui genti nulla penitus in toto orbe foret comparanda ad id belli genus conficiendum, vel disciplina militari, vel multitudine armorum atque hominum, vel commoditate invadendi hostem ex propinquo ». Resta quindi il Callimaco polonista e polonofilo per eccellenza (2), e pur avendo guardato anche agli altri Slavi e pur avendo trattato di cose che interessavano la cristianità tutta, egli — nei suoi contatti con personaggi illustri a Roma, a Firenze e a Venezia (il Ficino, il Poliziano, Pico della Mirandola, Giovan Battista Cantalicio) — non ha fatto mistero delle sue simpatie o delle sue convinzioni ed ha cooperato, valorizzando o supervalutando la potenza della Polonia, ad aumentarne il prestigio in Italia. Altri umanisti, altre impressioni slave Di altri contatti altri umanisti ci lasciano altre impressioni. Non sono, per vero, umanisti che si interessano espressamente ad un determinato popolo slavo, né le loro sono opere organiche che si volgono ad uno specifico quadro di storia slava. Sono incontri casuali, occasioni effimere, impressioni saltuarie, frammentarie, soprattutto singole epistole (3), che sfiorano, per così dire, la personalità e l’opera di chi le comunica, (1) La 1 ed. è del 1533, Hagenoae, ne seguono varie altre. (2) I tanto discussi Consilia Callimachi, se sono suoi, sono un ardito codice di scienza politica e valgono, come il Principe del Machiavelli, per ogni popolo, ma certi loro passi hanno sapore nazionale, cfr. B. Solimena, 1 consilia di Callimaco (Filippo Buonaccorsi) in Miscellanea storica della Valdelsa, 56 (1950) e S. Estreicher. Rady Kallimacha nella miscellanea Studia z dziejów \ultury pols\iej, Varsavia, 1949. (3) E su alcune anche volentieri sorvoliamo, come p. es. su quelle che intorno al 1437 Guarino Veronese scrisse a Nicolao Lasocki, canonico di Cracovia, in relazione ai di lui nipoti che egli teneva a scuola (fra tanti scolari Guarino ebbe anche boemi e polacchi quasi tutti di nome Giovanni) e infarcite di umanesimo, ma storicamente poco importanti. Cfr. l’ed. fondamentale di R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, Venezia, 1915-1919. 92 —