era ancora tutta presa dalla sua titanica lotta contro l’Austria e stava per affogare nella disfatta, si profusero in atti di ammirazione, di incoraggiamento e di compassione, a incominciare, se vogliamo, dalla più dotta che bella Ode alla nazione serba di Gabriele D’Annunzio, che nella Nave ben altre cose aveva detto degli « smerghi di Schiavonia...» (1). E così, con preparazione e con improvvisazioni, con concessioni e con detrazioni, con serenità e con passione e con meriti e demeriti,