Ottocaro II, arrivato alle porte d’Italia e candidato al trono del Sacro Romano Impero, dovesse in qualche modo far breccia nella letteratura dell’epoca che si ispirava alle lotte politiche! Fu così che egli divenne oggetto della poesia realistica del Duecento toscano, della poesia, cioè, che, trascurando le svenevolezze e le finzioni amorose, si ispirava alla realtà della vita che le pulsava attorno e si prestava agli odi di parte e derideva e frustava fatti o personaggi politici che non le andavano a genio. Per sventura sua egli cadde in bocca guelfa e una canzone anonima, la quale incomincia « Per molta gente par bene che si dica » (1), prendendo in giro Riccardo di Cor-novaglia e Federico III di Misnia, che ambivano alla corona del Sacro Romano Impero, mette in ballo anche « lo re di Bueme » ma in modo così ambiguo che non si capisce bene se egli vi figuri come terzo pretendente alla corona imperiale o, forse, come alleato di uno degli aspiranti. Comunque è uno spunto acido di guelfismo che si riversa anche sul regnante boemo perché impegnato in quell’ « imperium » che combatteva il « sacerdotium ». D’altra parte è un riconoscimento dell’ascendente che godevano i re di Boemia, se essi arrivano alle fonti della poesia popolaresca e di qui passano alla notorietà assieme ai più importanti esponenti della politica europea di allora. Questa impressione ci viene confermata da Dante nella sua Commedia. Egli presenta però sotto altra luce Ottocaro II. Lo condanna, sì, perché è stato intento alla gloria terrena ed ha negletto l’eterna salute, ma non lo condanna in eterno fra i grandi peccatori dell’inferno; 10 relega quindi in purgatorio, anzi nell’antipurgatorio, in quella valletta amena che, tra fiori, fragranze e canti, più che un luogo di espiazione sembra un angolo di paradiso. Lo introduce poi in una schiera eietta di grandi prìncipi d’Europa e nella presentazione assegna a lui 11 secondo posto facendolo seguire da Enrico III d’Inghilterra, da Filippo III di Francia, da Pietro III di Spagna e da altri. Infine cogliendolo nell’atto generoso di confortare Rodolfo d’Austria, che in vita gli era stato acerrimo nemico, e sottolineando come egli da giovinetto avesse saputo reggere lo stato meglio del successore suo in età matura, lo mette in una luce che come tradisce l’alta considerazione del poeta (1) Pubblicata in 11 libro de varie romanze volgari Cod. Vai. 3793 a cura di F. Egidi, S. Sotta, G. B. Festa, G. Ciccone, Roma, 1908, p. 416 e da E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli. Città di Castello, 1912, n. 87, ma per l’interpretazione sua cfr. A. Cronia, Op. cit. 34. 50 —