colarmente premuroso con un Fiammingo della sua corte, che studiava il serbo-croato, e da Ragusa gli faceva venire espressamente dei libri slavi (1). Cosimo inoltre, pur essendo un principe bacchettone e bigotto, fu fervido ammiratore di Pietro il Grande di Russia e con lui scambiò parecchie e cordiali lettere (2). Altrettanto fece con il re polacco Giovanni Sobieski e si valse dei suoi corrispondenti per farsi mandare dalla Polonia libri polacchi, ucraini, russi, ecc. (3). A sua volta il figlio di Cosimo, cioè Gian Gastone, l’ultimo Medici, conosceva pure il serbo-croato (o qualche altra lingua slava?) perché, a quanto si tramanda (4), trovatosi col padre Francesco Martini, che reggeva il Collegio gesuitico di Firenze e diceva di essere di Ragusa, « illum illirica lingua alloqui coepit, hanc enim in Boemia ( ?) apprime didicerat, sed Franciscus, quamvis verba in mente clausa, in lingua tamen prompta non habebat »... Poco importa che fra Francesco si sia impappinato e non abbia saputo rispondere nella lingua di Gian Gastone, importa invece il persistere dell’uso del serbo-croato attraverso tre generazioni ininterrotte di Medici (5). (1) J. Dayre, Études slaves a Florence au XVII siècle in Resetarov Zbormk_, Ragusa, 1931. (2) Sono state poi pubblicate da S. Ciampi, Notizie di medici, maestri dì musica e cantori, pittori, architetti, scultori ed altri artisti italiani in Polonia, e polacchi in Italia, Lucca, 1830. (3) M. Brahmer, Z dziejów w\os\o-pols\ich stosun\óu> \ulturalnych, Varsavia, 1939, pag. 92. (4) D. Basic, Op. cit., 197. (5) Del resto i Medici non saranno stati i soli a curare e parlare questa lingua a Firenze perché in casa dei nobili Aldobrandini la parlò il cardinale Silvio, al quale, a titolo di riconoscenza, un raguseo, Maroe Vodopija, volle dedicare una edizione della commedia « Tirena » del concittadino ser Marino Darsa (Drzié); nella dedica infatti si dice addirittura che egli parlava slavo « come se fosse sua lingua materna ». (Cfr. l’ed. di Djela Marina Drzica, pubblicata da M. Resetar nel voi. VII di Stari pisci hrvats\i, Zagabria, 1930, pag. 66). Trattandosi di un cardinale la cosa potrebbe sapere di chiesa, di Controriforma, ma non si dimentichi ancora che allora erano intense e feconde le relazioni fra Firenze e Ragusa e come a Ragusa c’era una numerosa colonia fiorentina, così a Firenze c’era pure un nucleo raguseo, e sia nell’una che nell’altra qualche incitamento a parlare croato non mancò certamente. Releghiamo pure in nota i Due italiani che nel Seicento componevano a Sc-benico in lingua slava, di cui si occupa P. Kolendic in Glas naroda di Sebenico I (1919) n. 5, perché si tratta del farmacista V. Zambon di Bergamo e del cava- 200 -