« padre della storia ecclesiastica ». Non staremo qui a rivedere i pregi o i difetti, i meriti o i demeriti dei suoi Annali, ad arricciare il naso di fronte al suo inelegante latino, a prendere atto degli « ottomila » errori di fatto, a deplorare certi ritorni alla storiografia medievale, a malignare sul « metodo della sordina », sulle sue ipercrisie o acrisie e via dicendo. A noi basta vedere se e come vi sono stati inclusi gli Slavi. Trattandosi di annali ecclesiastici ispirati all’universalità e arrivati agli anni di Cristo 1198, gli Slavi non vi potevano mancare, che a quella data la loro conversione al cristianesimo era già avvenuta da un pezzo ed era stata seguita o coronata da successivi assestamene ecclesiastici e politici, cui la Curia Romana non era rimasta estranea e indifferente. Ma loro inclusione delude tanto. Niente Slavi globalmente intesi, niente Serbi, niente Sloveni, appena sfiorati i Croati per dire soprattutto che il loro re dal Sommo Pontefice « noviter creatur », e appena accennati i Boemi per dire che erano « fiduciarii Romanae Eccle-siae». Meglio sono rappresentati i Russi, i Polacchi ed i Bulgari, di cui si tratteggiano i confini, l’origine, i primi regnanti e la conversione al cristianesimo. Naturalmente interessano soprattutto i rapporti con Roma, questioni scismatiche, eretiche, gerarchiche, cioè se si « solvebat tributum Ecclesiae Romanae », se si era « sub proprietate S. Petri », ecc. In questo senso parlano anche i numerosi documenti dell’appendice. Ma tutto si accentra negli interessi ecclesiastici e la visione storica, già di per sé ridotta, appena si delinea e, come sempre, incorre negli errori ormai tradizionali. Migliore sorte toccò agli Slavi nei Kalendaria Ecclesiae Universae, (Roma, 1755) di Giuseppe Simeone Assemani, anche se vi si ripetono i difetti e i propositi del Baronio coll’accentuare l’attenzione soprattutto su Russi e Bulgari. Ma anzi che di « Annales » si tratta di più modesti e maneggevoli « Kalendaria ». Ma l’opera è di un secolo — e più — posteriore e si avvantaggia di progressi, sia pure piccoli, compiuti da storia e geografia nella nuova epoca settecentesca. E l’autore è quel celebre e fortunato orientalista romano, ma di origine libanese, cui dobbiamo la poderosa « Biblioteca Orientalis » e quel prezioso e antico codice paleoslavo che passa appunto col suo nome: Codex Assema-nianus (1). (1) Dedicata all’Ucraina, che la Curia Romana non perdeva d’occhio ed a cui non rinunciava, è l’opera di Kalezynski. Specimen Ecclesiae Ruthenicae, Romae, 1733. 216 -