l’Europa, infondere nuovo sangue giovane nella nostra poesia » (1); delle loro organizzazioni culturali, fra cui primeggia quella di Gaj, del quale si fa un vigoroso, ma non esagerato ritratto. D’altra parte non si nascondono disarmonie e pericoli derivanti da vanaglorie locali, da differenze di religione, da divergenze sociali, da « venti differenti ortografie », e via dicendo. I « Tcheki » o « Ceski » e gli Slovacchi sono presi pure in considerazione soprattutto per il loro movimento nazionale, che sostanzialmente e formalmente risulta alquanto diverso da quello degli Slavi meridionali. Il Mazzini vi trova più pensiero che azione e una « erudita lentezza », che magari « è spesso oggetto di cortesi rimproveri da parte dei loro più ardenti fratelli » (Illirici), ma è « segno della grandezza dell’idea che vi fermenta » e si riveste di aspetti sociali e risente l’ardore delle lotte religiose dei tempi di Hus e si apre ai richiami del panslavismo. Prevalendo però il fattore letterario, è su questo che egli si dilunga con particolare compiacenza nella figura centrale di Kollàr, che per il suo patriottismo e per lo storicismo poetico gli appare il vero « profeta e bardo della Slavia » (2). Anche la Russia non sfugge all’osservazione del Mazzini soprattutto per il suo regime zarista, che dovrebbe essere soverchiato da moti insur rezionali di popolo, e per il suo panslavismo, che potrebbe « far cosac-ca l’Europa » e mira a inalveare proprio quegli Slavi che, come abbiamo visto, di essa dovrebbero essere argine e « impedimento Provvidenziale ». Se però in questo per lui lontano e misterioso paese vede da un lato lo zarismo, col principio dell’autorità illimitata, con la conseguente oppressione del pensiero e della dignità umana, e dall’altro lato un giovane mondo rivoluzionario orientato verso il materialismo, non esclude che una nazione così grande possa avere una missione da realizzare per (1) Da questo passo non si direbbe che il Mazzini abbia conosciuto la versione dei Canti Illirici del Tommaseo del 1841. Di parere contrario, ma senza prove concrete, è il prof. Mirko Deanovic, Mazzini et le mouvement illyrien in Le monde slave, XII (1935), giugno, pag. 456. Io sono invece convinto che tutta questa ammirazione ed esaltazione della poesia popolare serbo-croata, derivi dalle famose lezioni parigine del Mickiewicz, di cui si ebbe l’edizione Cours de Letterature slave. (2) Il Mazzini tratta volentieri questo argomento, anche perché ne aveva gia parlato nel 1832 nell’articolo Letteratura poetica della Boemia servendosi soprattutto della Cheskian Anthology di J. Bowring. 390 —