Ecco la Pomponia Graecina del Pascoli premiata ad Amsterdam nel 1910 (1). Si vuole — e non sono pochi quelli che lo asseriscono (2) — che essa debba la sua ispirazione principale al « Quo vadis ? » del Sienkiewicz; anzi, al dire di Arnaldo Della Torre, essa sarebbe « il più splendido frutto della varia fortuna del Quo vadis? in Italia ». In sostanza, però, più che altro si tratta di analogie che potremmo trovare anche in altre opere riguardanti lo stesso argomento (da « Fabiola » di Wiseman a « Mondo antico » di Agostino Della Sala-Spada o a « Les martyrs » di Chateaubriand) o che potremmo ricondurre ad una stessa fonte, a Tacito, e che, in ogni caso, non pregiudicano affatto l’originalità dell’arte pa-scoliana, né vi determinano la vera ispirazione. Prendete una storia qualsiasi della letteratura italiana, del suo Novecento, e vedrete che a proposito di Rapisardi, Capuana, Borgese, Tozzi, Lodovici, Bonelli e altri, vi si spifferano i nomi di Andreev, Cehov, Dostoevskij, Gogol, Turgenev e Tolstoj. Ma ben poco di concreto vi diranno questi accoppiamenti di nomi, anche se qualche legame, qualche parentela spirituale possono certamente presentare (3). Il « caso » di Dostoevskij ci autorizza a parlare così. Esso, finalmente, fu studiato nella sua concretezza e ci ha dato risultati positivi e incoraggianti per nuove esplorazioni (4). Tracce e influenze sue più 0 meno scoperte risultano ormai pacifiche in varie nidiate di scrittori dal D’Annunzio o dal Capuana alla Serao e a Giovanni Cena. E sono problemi morali e psicologici che si arrovellano su delitti e castighi, su colpe ed espiazioni, su individuo e società, su ambivalenze o sdoppiamenti di personalità, su illogicità morali. E sono valori estrinseci che portano al mimetismo formale e alla stilizzazione irriflessa. Dostoevskij quindi di- (1) Per non parlare dell ’Agape (che pure sembra ispirata da Sienkiewicz, secondo M. Fusco, 7 poemetti latini di Giovanni Pascoli, Catania, 1924) a proposito di « affinità » cfr. M. Pellegrini, Analogie tra « 7 Promessi Sposi » di A. Manzoni e il « Quo vadis? » di Sienkiewicz, Rudo (Bari), 1953. (2) Sono ricordati da M. Brahmer, Op. cit., 241 ss., il quale sostiene pure la stessa tesi. (3) Ma F. Flora, Dal romanticismo al futurismo, Milano, 1925, pag. 30 è del parere contrario e non ammette « michelangiolismi... barbarismi... slogicamenti » russi nella letteratura italiana... ché « in fondo i russi sono stati ammirati più che altro a parole... ». (4) Anna M. V. Guarnieri Ortolani, Saggio sulla fortuna di Dostoevskij in Italia, Padova, Università, 1947. 560 —