lare loro familiare. La prima può essere derivata dal « Trésor » del maestro suo Brunetto Latini, quando afferma « Là ou Itaille fenit... après ce est la terre d’Esclavonie » ; la seconda può essere anche un’esperienza personale, ritratta a Bologna a contatto con gli studenti « ultra-montani » di quella università. In ogni caso anche nel campo linguistico dobbiamo a Dante delle affermazioni interessanti, che son al di là delle spicciole quisquilie che potremmo trovare in altre sofistiche spigolature (1). (1) Nulla direbbe il gioco retorico, fonetico-etimologico sulla voce « schia-vonia » in una poesia di Chiaro Davanzati (Monaci, Crestomazia, I, 257), nulla una lettera del Petrarca che si riferisce ad un dalmata (cfr. M. Deanovic, Jedno Petrar\ino pismo in Prilozi za \njiievnost, ecc. XVIII, 1938. f. I-II, p. 32), nulla le notizie di Giovanni da Ravenna su Jan ze Stredy (cfr. A. Cronia, Op. cit. 47), nulla il Boccaccio in De montibus, silvis, fontibus ecc. con nomi di monti e fiumi sia pure della « Pollonia et Rusia », nulla Fazio degli Uberti nel Dittamondo (lib. IV, cap. XII) con poche parole, con cui presume di presentare la Polonia in un capitolo o canto dedicato a « Scandinavia, Gotlandia, Norvegia, Prussia, Polonia, Vandalia, Cracovia e Boemia » ecc. ecc. 60 —