« callidus » e di un Polacco « rotundus », i quali si incontrano per via e, per far fortuna, si dirigono verso Praga per poi proseguire alla volta di Roma. Arrivati a Praga, il Boemo che è più astuto, più anziano e più esperto, addocchia il bel berretto del Polacco e cerca di rubarglielo. Perciò il mattino seguente si alza per tempo, ruba il berretto e se la dà a gambe. Ma il Polacco s’accorge del furto, si mette sulle tracce dell’infido compagno e lo raggiunge in una piazza mentre questi sta per vendere la refurtiva ai rigattieri. Ne segue un battibecco impostato sul bisticcio della voce boema (kukla) e di quella polacca (kaptur) per il concetto di « berretto ». Alla fine il Polacco si arrende osservando che il suo « captur » ha cambiato nome perché egli non lo riconoscesse e afferma ingenuamente: «O Deus, quam cauti sunt isti Bohemi! en hic captur meo nomen mutavit, ne ipsum possim agnoscere! ». Segue la morale dell’autore: ma molti Latini non hanno fatto la stessa cosa? Non praticano apertamente l’usura mutandone il nome? E coloro che hanno studiato le lettere e la filosofia, non hanno cambiato le arti liberali in turpe lucro e le lettere greche in « lettere di cambio » barattandole ignominiosamente ? Come risulta dall’argomento, la lettera del Vergerio, più che un’epistola è una « facetia », che arieggia una novella (la XXXII) del Sacchetti e come tale s’intitola in altre sue redazioni (1); quindi, più che l’epistolografia interessa la letteratura. Il motivo slavo o, meglio, i suoi per-sonaggi slavi, in ultima analisi, stanno alla base della, diciamola evangelicamente, parabola, come elemento caricaturale, come incentivo alla comicità o alla parodia e non rispecchiano certamente quell’alta considerazione che altri umanisti hanno avuto e dimostrato per gli Slavi. Del resto che il Vergerio non abbia scelto a caso i suoi protagonisti quale pietra di paragone o quale esempio generico di ingenuità o di baratto, ma di essi abbia avuto la sua bella o brutta esperienza ed abbia voluto fare sfoggio della sua cultura, diciamola, slava, ce lo dicono, oltre che il gioco equivocante delle voci slave per il « berretto » anche il principio dell epistola, in cui egli si dimostra edotto delle affinità linguistiche e delle diversità di carattere che, a modo suo, passavano o non passavano allora fra Boemi e Polacchi: « Bohemi ac Poloni proprietatem sermonis eamdem habent; moribus quoque et ingenio sunt propemodum similes, (1) Infatti altri suoi titoli sono: In foeneratores facetissima exprobatio oppure De cambii nomine. — 97