frammischiati, per effetto di colore e di armonia, anche gli Slavi, ma sono gli Slavi stessi che ispirano opere specifiche sia pure determinate da contingenze estrinseche. Ecco il caso di Paolo Giovio che occupa un posto di primo ordine nella storiografia italiana del Rinascimento (1). Medico, poeta e monsignore, dotato di molta dottrina e di non minore spirito epicureo, avendo girato mezza Europa, egli non chiude gli occhi nemmeno di fronte al mondo slavo che gli si apre dinanzi. Lo abbiamo già visto negli Elogia, con tutta la spregiudicatezza che li ispira. Il linguaggio cambia in un’opera sua più organica, nei quaranta-cinque libri Historiarum sui temporis (2): opera condotta con diligenza e acutezza, ma con penna, talvolta, « temprata d’oro », non d’ossatura forte e compatta, ma vivace e colorita nell’esposizione dei fatti che vanno dal 1494 al 1547. Date certe esperienze e informazioni, che vedremo poi, egli ha occasione di accennare o fare posto anche agli Slavi. Ma l’argomento storico passa in seconda linea, restandone semplice pretesto, e subentra invece il commentario geografico, completato con note di carattere sociale e politico. La Moscovia è al centro dell’opera (libro XIII) ed anche se si equivocano Moscoviti, Roxolani, Sarmati (Polacchi), ispira un’ampia descrizione e porta alla conclusione che tutti quei popoli, compresi i Lituani, « non multum cultu corporis, genere armorum, lingua ac moribus in ter se differunt ». A proposito invece delle guerre fra Ungheresi e Boemi, l’autore ammira la malizia e la prodezza degli ultimi. Niente di fatto su gli altri. La Moscovia ricompare nella stessa luce e nello stesso ambito in una raccolta cosmografica di Descriptiones (3). La Moscovia era il cavallo di battaglia slavo del Giovio. Personalmente egli non l’aveva visitata, ma, con l’abilità di uno storico inquisitore, l’aveva sapientemente indagata dalla viva voce di Demetrio Ghe-rassimov, capo della missione mandata nel 1525 dal granduca Basilio III di Mosca al papa Clemente VII per il riavvicinamento delle chiese cristiane. Ne raccolse e riassunse le impressioni in quel « libellus » o in quella « operetta » che nel testo originario latino e nella traduzione (1) L. Ravelli, L’opera storica e artistica di Paolo Giovio, Como, 1928. (2) P. Iovii, Historiarum sui temporis libri XLV, Firenze, 1550-1552. Cfr. la nuova ed. di Opera a cura di D. Visconti, Roma, 1957. (3) P. Iovii, Descriptiones, quotquot extant, regionum atque locorum, Ba-&ileae, 1561. — 133