mente problema pratico e politico, sue forme culminanti furono non tanto quella filosofica, nonostante il Rosmini e il Gioberti, né quella artistica, nonostante il Berchet e il Manzoni, bensì quella politica, con Gioberti, Mazzini, Cavour e la parte più vitale del popolo italiano. La politica, dominando l’animo dei critici non meno che quella dei poeti, fece sì che la passione del Risorgimento fosse vissuta e trasfusa anche e soprattutto da politici, storici e trattatisti. Fu così che un testimone come Luigi Settembrini potè dire del « Primato » del Gioberti : « Non mai libro di filosofo, e neppure di poeta o di altro scrittore, è stato più potente e più salutare di questo ». Ma se tutti gli Italiani potevano credere nel « primato morale e civile » che la Provvidenza aveva loro concesso, non tutti potevano andare d’accordo sul modo migliore di attuarlo, sulla via, in particolare, che dovevano battere per raggiungere l’unità e l’indipendenza dallo straniero. Di qui le varie tesi e i vari partiti, a cui necessariamente portava il dottrinarismo romantico trasportato su terreno politico. Di qui i vari atteggiamenti anche di fronte agli Slavi, che in un certo qual modo rientravano negli interessi o nei piani della politica italiana (1). La tesi più incendiaria — anche perché Mazzini ne fu il sacerdote — è stata quella democratica con una fede cieca nei movimenti popolari, nelle legittime aspirazioni delle nazionalità a costituirsi autonome e indipendenti e a raggrupparsi secondo le loro affinità etniche. Ne furono ispirati tutti i moti rivoluzionari del ’48. Pareva che la vecchia Europa ad un tratto dovesse cambiare assetto e ne uscisse una nuova carta geo* grafica: per opera e per forza del popolo, che doveva prendere il posto dei governi. L’Austria sembrava destinata a sparire assieme alla Turchia perché organismo artificiale, anacronistico, che ormai veniva meno alla sua funzione storica. Al posto suo doveva sorgere una confederazione di stati —soprattutto slavi — concepita quale baluardo sia contro la Russia zarista, che ormai non faceva mistero delle sue mire imperialistiche e tendeva a Costantinopoli, sia contro una minacciosa avanzata dei T edeschi verso i mari del Sud e verso l’Oriente. Con un governo popolare e con un’alleanza italo-slava la cosa doveva essere portata a compimento. Il realismo politico però deluse tante attese e frustrò tante speran- (1) Cfr. lo studio imparziale e sereno di A. Anzilotti, Italiani e jugoslavi "d Risorgimento, Roma, 1920, e la non meno interessante e recente pubblicatone dell’istituto per la storia del Risorgimento italiano (Comitato di Trieste Gorizia) Italia del Risorgimento e il mondo danubiano-balcanico, Udine, 1958. — 385 25