italiana ebbe larga risonanza e comunemente si intitola Libellus de le-gatione Bastili Magni Principis Moscoviae ad Clementem VII (1). Contrariamente al titolo e all’occasione in cui sorse, l’opuscolo del Giovio, spiegatane la ragione, non si sofferma a lungo sull’ambasciata, ma si diffonde tutto sulla Moscovia, di cui porge un quadro completo, dalla spiegazione del nome suo alle cerimonie nuziali della corte. Passa quindi in rassegna confini, città, fiumi — soprattutto il Volga — popoli, comprendendovi Tatari e Lapponi, vegetazione, patrimonio zootecnico, clima, commercio e comunicazioni. Considera la vita pubblica e privata, ne nota l’abbondanza dell’alimentazione. Lo interessano i riti e le cerimonie che di sé improntano la vita civile e la chiesa ufficiale. Le forze armate naturalmente non gli sfuggono. E non gli sfugge la cultura o la letteratura, che si svolge nella lingua « schiava », che è la più diffusa d’Europa, e che se non vanta ancora opere di filosofia, di astrologia e di altre scienze, pure ha un gran numero di testi sacri e di storie tramandati già in parte da « S. Girolamo » e da Cirillo. Concentrata così in un denso quadro, abbiamo la visione più completa che allora si poteva avere della Moscovia. Concentrate in un quadro esotico, abbiamo anche le note caratteristiche dell’opera del Giovio in generale, curioso delle condizioni fisiche di un paese, delle sue istituzioni, della cultura e della letteratura, ma improntato a dilettantismo. Del resto, pur avendo attinto anche a fonti scritte, che non sarebbe difficile rintracciare, il versatile umanista cinquecentista ha fatto miracoli nel ricavare dalla bocca di un informatore tante belle e utili e attuali nozioni. Di fronte ad opere scritte sul posto, il « libellus » del Giovio non perderà niente in freschezza. E benché còlto dalla voce di un uomo, esso non è certo sorto di getto e qualche ora di biblioteca sarà pur costato. Spontaneo, esso appare anche dotto dal principio alla fine. Tale, del resto, era ogni « improvvisazione » umanistica. La scoperta della vera Russia Tenuto conto di quanto finora è stato detto e di quanto ancora si avrà occasione di dire, non si esagererebbe, se si asserisse che in Italia appena ai tempi della Rinascita c’è stato chi effettivamente ha scoperto (I) La prima edizione è del 1525, Romae; seguono quelle di Basilea del 1537, 1545; compresa pure in Opera quotquot extant omnia, Ba-sileae, 1578, e nei Commentarli rerum Moscovitarum di Herberstein, Basileae, 1551, 1571 e 134 —