nonico Matteo Carretta, agente russo, a Venezia, a Genova, nel Piemonte. La Polonia più ancora che nel suo periodo d’oro, divenne argomento di scottante attualità anche nel periodo del suo fatale ma « splendido » declino, che se la tradiva la forza interiore, non le mancava lo sfarzo esteriore. Grande eco lasciavano, oltre che singole figure di magnifici regnanti, quali il Bathory o il Sobieski, tutte quelle elezioni di re stranieri, tutti quegli interregni, quelle lotte civili, quelle guerre con la Russia, con la Turchia, con i Cosacchi che, dopo l’estinzione dei Ja-gelloni nel 1572 o la morte di Zamoyski nel 1606, imperversarono come tanti diluvi su quella Repubblica reale, sostenuta da una democrazia nobiliare, amante della libertà e nemica dei regimi assolutistici che la circondavano e la insidiavano. Interregni ed elezioni di re avevano tenuto in sussulto parecchi principi italiani, che vi avevano pure le loro aspirazioni, e le guerre con la Turchia avevano addirittura tenute sospese Roma e Venezia. E tali erano le relazioni d’amicizia fra i due popoli che nuove schiere di Italiani, tra cui artisti, mestieranti, intriganti, ecc. erano passate in Polonia e una Sobieski e un Sobieski (moglie l’una, figlio l’altro del trionfatore di Vienna) s’erano trasferiti a Roma. La Boemia già precedentemente attaccata al giogo degli Asburgo, risentì sempre più le tristi conseguenze della schiavitù e sempre più perdette rilievo nel consorzio degli stati europei. Solo la sua ardita, ma sfortunata rivolta (1618), conclusa con la battaglia della Montagna Bianca nel 1620, e la parte emergente avuta da Alberto Wallenstein nella guerra dei Trent’Anni, riuscirono almeno in parte a salvarla dall’oblio. Del resto c’erano in Boemia i nunzi apostolici che non restavano certo inoperosi e dovevano informare Roma di quanto lassù accadeva. E c’era tutto quel-i afflusso di Italiani, specialmente a Praga ed ai tempi di Rodolfo II (1576-1611), che non potevano mancare, come vedremo, le ripercussioni in Italia. Pensiamo se non altro a quella cerchia eletta di artisti, che il conte Jan Cernin era riuscito a raccogliere intorno a sé, a Venezia, durante un’ambasceria negli anni 1660-1663 (1). La situazione degli Slavi meridionali fu analoga e tale perdurava già da un pezzo, inalveata com’era nel secolare corso di dominazioni straniere, di cui la più ferrea e la più impenetrabile era quella dei Turchi. (1) Z. Kalista, Humprecht ]an Cernin z Chudenie ja\o mecenas a pod-porovatel vytvarnych uméni v dobè svè benáts\é ambassady (1660-1663) in Pamàt-b archeologie\é, XXXVI. - 181