260 L’ITALIA E L’ALBANI.» momento di tanta gravità per l’Europa, hanno ritardato di tre o quattro giorni il passo delle Potenze a Costantinopoli e nelle capitali balcaniche. Mentre si cominciavano le prime fucilate; mentre parevano dover essere preziosi i minuti, perchè gli ambascia-tori dell’Europa non si trovassero di fronte all’Europa, fra le cancellerie si discutevano ancora delle sottili questioni di forma, se ciò questi ambascia-tori dovessero presentarsi insieme al Gran Visir o uno dopo l’altro, sostenendo l’Inghilterra che questo secondo modo era più deferente, più rispettoso della Sovranità del Sultano. Il tenore della nota da presentarsi — e che fu presentata effettivamente, ma quando era già avvenuta la dichiarazione di guerra alla Turchia, da parte del Montenegro — era il seguente: 1) che le Potenze riprovavano energicamente tutte le misure suscettibili di provocare la rottura della pace; 2) basandosi sull’art. 23 del trattato di Berlino, esse prenderanno in mano, nell’interesse delle popolazioni, la realizzazione delle riforme nell’amministrazione della Turchia europea, rimanendo inteso che tali riforme non lederanno in alcun modo la sovranità di S. M. I. il Sultano nè l’integrità territoriale delFImpero ottomano. Con questa dichiarazione resta riservata, del resto, la libertà delle Potenze per lo studio collettivo ed ulteriore delle riforme; 3) che se la guerra scoppiasse ciò nonostante fra gli Stati balcanici e l’impero ottomano, esse non ammetterebbero alla fine del conflitto alcuna