La ferrovia e il Porto 65 quando la Penisola Balcanica er^caduta tutta quanta sotto il dominio della Mezzaluna, seppe sempre, ed in modo eroico, tener testa alle orde mussulmane e far sventolare, talvolta sulle roccie inaccessibili di poche montagne dove si erano ridotti, circondati dal nemico, la bandiera della Cristianità. Con l’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina al vicino Impero ormai tutti compresero come sia stato grave errore l’indifferenza nostra durata tanti anni per tutto ciò che accadeva e maturava sulla sponda dell’Adriatico. Ed oggi tutti si rallegrano che là, dove non poteva arrivare lo Stato, l’Italia si sia vigorosamente affermata con parecchie iniziative private e, special-mente, colla ferrovia dalla costa a Vir sulla riva del Lago albanese-montenegrino e col Porto, esso pure esercitato dalla Compagnia di Antivari. Un gruppo di uomini di finanza e di gentiluomini veneziani, fra i quali mi piace citare a titolo d’onore il conte Papadopoli, il compianto conte Revedin, l’on. Paganini, il conte Foscari e il comm. Giuseppe Volpi, che è stato ed è l’anima di tutte queste imprese che mirano all’espansione commerciale dell’Italia in Oriente, aveva già assunto da qualche anno il monopolio del tabacco nel Montenegro, quando sorse l’idea, o per meglio dire, si incominciò a convincersi che l’idea di fare un vero porto ad Antivari con una ferrovia da questo punto della costa al lago di Scutari, poteva avere un’attuazione pratica. Se ne parlava da anni, pensando naturalmente che quel piccolo tronco da Antivari al Lago Hantegazza. 8