116 Durazzo per chi giunge dal mare — ed è l’unico modo di andarci, poiché non solo non ha comunicazioni regolari con l’interno, ma non vi sono strade nel vero e proprio senso della parola — si presenta assai bene. Pino ad una certa distanza anzi si può avere adirittura l’illusione di avvicinarsi ad una delle ridenti piccole città della nostra riviera ligure, alla quale le mura dell’antico castello veneziano che, da una parte spiccano sulla cima del colle alle cui falde la città è costruita, e dall’altra, si spingono fino al mare dànno un carattere quanto mai pittoresco. Ma vi accorgete subito di essere in Oriente appena sbarcate, e vi trovate, come al solito, circondati da una folla di cenciosi che cercano di strapparvi di mano la valigia, che vi tendono la mano chiedendo qualche -para e mormorando Dio sa che cosa, — forse anche qualche imprecazione contro i cristiani — con quella loro voce monotona e gutturale così caratteristica. Ci se ne accorge anche quando si ha, come è accaduto a me, la fortuna di essere preso per un alto personaggio, e la vostra lancia, anziché allo sbarcatoio destinato ai poveri mortali, approda alla gettata riservata ai Consoli e alle autorità. Il turco ha fatto quel che doveva per rispettare le distanze e le barriere sociali, ma non si occupa d’altro: per cui quella piccola gettata riservata è lasciata in uno stato tale, che se non si fa una grande attenzione, si corre il rischio di rompersi il collo dieci volte nel breve spazio di dieci metri o poco più. Durazzo, l’antica Dyrrachium, che fu soggiorno