stabilita; tuttavia Maometto II non volle subito ricorrere alle armi. Egli inviò invece a Scanderbeg un ambasciatore latore di una sua lettera, datata da Costantinopoli il 7 maggio 1463, colla quale muoveva ai Capi albanesi acerbi rimproveri per la mancata fede e li esortava in nome dell’onore e della coscienza a non violare più oltre i patti giurati. Questa lettera nobilissima e piena di elevati sentimenti avrebbe forse prodotto l’effetto desiderato da Maometto II, se appunto in quei giorni l’Arcivescovo di Durazzo non avesse resa pubblica in tutta l’Albania una bolla del Papa Pio II, con cui si esortavano gli Albanesi tutti a disdire la pace col turco, assolvendoli per tranquillità, delle loro coscienze dal giuramento fatto e largheggiando con tutti in promesse d’indulgenze. A questo eccitamento autorevole ed influente sulle coscienze, aggiungansi i preparativi di guerra che, per consiglio ed incoraggiamento del Pontefice, facevano i Principi cristiani per muovere uniti alle offese contro gli infedeli, e facilmente si capirà come le popolazioni albanesi, sia per ben meritare del titolo di forti campioni della fede di Cristo loro dato dal Papa, sia per la certezza di poderosi soccorsi, abbiano persistito nel volere la guerra; ond’è che Scanderbeg rispose al Sultano il 25 dello stesso maggio 1463 con una superba lettera (metodo tutto proprio di chi è convinto d’aver torto), in cui dichiarava essere impossibile la pace fra lui e gl’infedeli, e manifestava ferma speranza e convinzione di riuscire vincitore nella lotta.