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esiliato a Jànina. Intanto cominciavano le tragedie nella sua stessa famiglia. Nikola figlio di Prenk Leshi, insidiato dai figli di Lesili Zi finì per farli uccidere. Al ritorno di Lesh dall’esilio, poiché Hafiz Pasha gli ebbe data la libertà per mettere il seme della discordia nella Mirdizia e aver occasione d’ingerirsi lui e essere invitato, non ostante tutte le dichiarazioni e paci fatte, si vendicò uccidendo Nikola, ma fu poi a sua volta assassinato dalla vedova dell’ucciso. Seguirono altri assassini e la famiglia non si salvò che per la fedeltà di alcuni servi che misero in salvo il capitano Marko e il capitano Bib-Doda.
   Bib-Doda prese poi il comando. Nel 1844 fece con Reshìd Pasha la campagna di Epiro e ebbe in compenso la decorazione del Nishan-Iftichar, sostituita poi da quella del Medjidjè. Verso
lo	stesso tempo il Papa gli accordava la decorazione di S. Gregorio. Più tardi combattè valorosamente con Omer-Pasha contro i Montenegrini. Ma se il Pashà commise delle ingiustizie contro i bravi e fedeli Mirditi incorporandone una parte, contro tutti i patti, nell’esercito, e il popolo si sollevò e accusando il loro capo di essere la causa di simile sventura, lo bloccarono nella sua casa, e non si placarono se non quando dopo l’invio a Oro-shi di una commissione formata dai consoli di Francia e d’Inghilterra e dal Vescovo di Alessio, ottennero soddisfazione.
    È curioso quel che dice l’Hecquard su certi usi (ecclesiastici) orientali dei Mirditi affermando che prendevano la Comunione sotto le due specie, e che si trovassero nelle loro chiese delle croci greche e dei resti di pitture bizantine, e finalmente che conservassero a lungo l’antico calendario (1). Ciò darebbe ragione almeno in parte alla tradizione citata dall’Hahn. Fondandosi su questi dati dell’Hecquard, il Baldacci nel suo più recente lavoro sull’Albania pensa senz’altro che i Mirditi sieno stati di origine slava, e anzi aggiunge queste testuali parole:
    (1) Secondo il R. D. Gioacchino (Jùk) Bushati e D. Prènd Suli, c era 1 uso di prendere un po’ di vino dopo la S. Comunione, per riverenza al Sacramento, nel caso di dover sputare. Anche adesso richiamano quell’uso con la frase me e shperlà gojen, risciacquare la bocca (un sorso), e le 8 oke di vino comprese nella decima, eran date anche per questo motivo. Perciò si teneva in chiesa una zucca piena a tale scopo.