— 265 — lissiino a compiere con estrema esattezza le pratiche di pietà che la Compagnia ha per regola e quando tornava dalle escursioni apostoliche quasi avesse defraudato Dio nella cura della sua propria anima, aggiungeva un’altra ora alla solita meditazione, esempio splendido per ogni missionario e per ogni operaio nel campo deH'apostolato di non trascurare se stesso mentre si sforza di salvare gli altri come sarebbe scopo fondamentale della sua missione. Del resto egli era modello di osservanza d’ogni regola o consuetudine quando si trovava nella comunità. Tre furono le virtù in cui spiccò soprattutto a suo giudizio: nell’umiltà, nella carità e nella purezza. Non parlava mai di sè se non quando dovesse tornare a suo avvilimento. Mostrava molta ripugnanza in parlare o sentir parlare dei difetti degli altri, mentre invece quando egli era fatto bersaglio delle male voci che non potevano tollerare il suo zelo, diceva in confidenza al Padre che il miglior modo di vendicarsi era quello di pregare per lui con affetto particolare. Così non diede il più piccolo segno di rammarico quando a Prizrend sentì dire da Mons. Trokshi che le sue prediche non sarebbero gradite. Quando fra la gente rozza capitava che qualcuno s’inalberasse e insolentisse, egli rispondeva col sorriso più benevolo, per cui l’ammansava subito. A un tale che gli augurava in faccia che precipitasse da una rupe e si rompesse il collo, rispose con dolcezza che avrebbe dato volentieri la sua vita per l’anima di lui e lo ammansì. E si noti che era di natura focoso. Quanto alla purezza questa rifulgava nel suo contegno e nei suoi occhi. Non trattava con donne se non quel tanto che fosse necessario e in modo sbrigativo, senza dar mai nessuna confidenza che avesse anche l’ombra del mondano. L’orrore che sentiva per questo vizio bestiale era tanto che predicando gli suggeriva le parole più infuocate per cui riusciva di una irresistibile eloquenza, e molti si convertivano a una vita più conforme alla candida purezza dell’ideale cristiano.