— 318 — la scaldò fino a bollire; poi la versò in un biud o coppa di legno facendola passare per un pugno di giunchi affine di pulirla da qualche pelo o immondezza che forse avesse. Poi versò di nuovo la panna nella padella riservandone però una parte nel biud; quando cominciò a bollire, vi mise dentro a poco a poco della farina gialla di kalamoc muovendo intanto e mescolando (con) un cucchiaio quella massa. Mentre andava cuocendosi la donna non cessava di muoverla e lavorarla col cucchiaio, e indurendosi troppo vi infondeva della panna riservata nel biud. Dopo una breve mezz’ora la maas era all’ordine e con tutta la padella ci fu presentata lì dove stavamo che era l’unico posto abitabile nel pojàt. Era niente altro che una utasa (1) o meglio polenta cotta nella panna. Non è cattiva, ma ha troppo untume e buttiro che non permette di mangiarne molta e nausea. Mentre si mangiava la maas, il nostro ammalato che stava egli pure lì vicino al fuoco ebbe una specie di parosismo e parve entrasse in agonia. Mi alzai tosto e cominciai a raccomandargli l’anima. Finite le orazioni, si riebbe un poco. Gli impartii la benedizione papale, lo consolai e non potendo fermarmi perchè era aspettato a Fira e d’altra parte non mostrando l’ammalato di dover subito morire, partii accompagnato da Nok Haidari fino agli stani del Plaver, dove i ragazzi mi aspettavano colla speranza che portassi loro qualche cosa da lbalia. Lo stan non è altro che una specie di capanna o baito come dicono sul veronese fatto di stecchi, coperto di frasche dove stanno i pastori l’estate per alcune settimane mentre pascolano il bestiame su queste alte montagne. Vicino allo stan v’è un recinto o chiuso dove di notte e sul mezzo giorno si chiudono gli armenti. Allo stan stanno per lo più solo le donne e i ragazzi; i ragazzi per custodire gli armenti mentre pascolano, le donne per fare il formaggio, il butirro e il kumsct o ricotta. Il modo di fare il formaggio è un po’ differente da quello che si usa in Italia. Qui il latte dopo munto lo fanno bollire e poi lo versano nella korita, che sono specie di conche lunghe poco più di mezzo metro e larghe un 40 centim. formata da una grossa asse incavata; sono strumenti primitivi, ma molto utili all’effetto di averne molta panna, presentando il latte in essi molto superficie su poca profondità. Il giorno seguente levano la panna o crema e versano il latte in un bariletto anch’esso molto primitivo perchè formato da un tronco di albero diviso a metà, scavato internamente e poi unito per mezzo di due o tre cerchi. In esso cagliano il latte freddo, e rotta un poco la (1) Massa?