— 377 — A IbalJja il Padre non si volle fermare, poiché durante la sua assenza un giovinotto già ammogliato aveva avuto l’ardire di comprare una donna che era stata rapita dai Mirditi in un villaggio sulla strada da Puka a Prizrend, e che poi erano andati a vendere a Iballja. Perciò il Padre dichiarò che non vi avrebbe celebrato Messa nè ascoltate le confessioni se non si toglieva quell’obbrobrio. Ciò dispiacque e si diedero attorno quei del paese per obbligare lo scandaloso ad allontanare la donna, e ci sarebbero riusciti se un uomo principale del villaggio non si fosse messo a proteggere il giovinastro dividendo così il paese. Il Padre perciò si recò direttamente a Lvosh a cominciarvi i konàk della quaresima. Di là passò a Kokdoda, Bugjoni, Gralishti e Fira. A Bugjoni gli occorse un fatto che convien riferire per intero perchè mette in singolare evidenza gli elementi morali e sociali della legge dei sangui. « Mentre ascoltava le confessioni — racconta il Padre — mi si presenta un giovane sui venti anni, che mi dice: — Padre, io desidero molto, anzi voglio confessarmi, ma però voglio dirti prima in quali condizioni mi trovo, perchè so che l’assoluzione carpita non vale nulla, giacché Iddio non si può ingannare. — Ebbene, raccontami di che si tratta. — Io, rispose, te lo dico chiaro, sto cercando un sangue, ma sappi che il sangue che cerco io, non è come gli altri, e quindi se tu vuoi, potrai certo confessarmi. Alcuni anni or sono di notte vennero i ladri nel mio ovile, per rubare le pecore; mio fratello, senza saper chi fossero, tirò collo schioppo e ne uccise uno. L’ucciso era di Beri-scia. La dimane la famiglia dell’ucciso ci bruciò la casa, e ci fece quel maggior danno che potè; dipoi continuò ad inseguirci per prendere il sangue, e quasi tutte le notti la nostra casa era circondata da persone, che ci tenevano in timore, e non ci lasciavano mai in pace. Venne il tempo in cui il Governo ordinò la pacificazione dei sangui, e noi abbiamo dovuto vendere il bestiame e le terre, e ci siamo impoveriti, per raccogliere sei borse (seicento franchi), e pagare il sangue, al fratello dell’ucciso. Poco dopo costui ci tradisce, ed uccide mio fratello, per quel sangue già pacificato e pagato. Ed ora egli se ne vanta, e mi disprezza, e nemmeno si degna domandarmi una tregua, e, se potesse, domani ammazzerebbe anche me, affine di rovinar così del tutto la mia famiglia. Ora in questo caso tu vedi bene, che io non posso a meno di ammazzar quell’uomo. — No, tu non puoi ammazzarlo: la tua religione non te lo permette. —