Cap. VI — Lo “ Skanderbeg „ 105 mo la propria terra, col ferro, col fuoco, coi denti, con l’unghie, con l’anima incrollabile ed invitta, con una fede inestinguibile in Dio e indomita nel proprio dritto e nella propria ragione. La sua virtù rifulge come adamante ripercosso dal sole, illustrando di sè tutta la terra: guerrieri di virilità antica, eroi di nobiltà classica ci passan davanti, fuggenti, come turbini spaventosi, e cadenti nel nome della patria, gravidi il petto di odio immutabile contro lo straniero. Gli eroi non entrano in azione frequentemente, in guisa che la loro visione ripetuta c’ imprima nella mente il loro carattere e ce lo fissi durevole e distinto. Spesso ci si presentano come ombre pallide e cupe, che poi vengono, in azioni decisive e colorite, illuminati di luce raggiante con tocchi sublimi. Skanderbeg riveste il carattere che gli dà la storia, oppresso dall’incubo del servaggio, esinanito dalla strage di fratelli, spogliato del retaggio paterno, meditante cupa vendetta. È un colosso innanzi a cui trema la terra ed a cui sorride, per un momento, il fato tragico della patria. La figura di quest’eroe balza tremenda nella giostra coi due Tartari, ove egli eccitato dal fragor dei tamburi dei suoi commilitoni, che l’idolatravano, solo, in mezzo i dispetti di tutti, col largo orizzonte sul capo ove spirava Dio, con la bandiera effigiata dell’aquila dall’ali aperte e la spada scintillante nel pugno, conculca i crucci degli stranieri aspettanti. Radavàne è un eroe degno di Omero. Mai poeta scolpì con anima fremente un guerriero come l’eroe di Giànnina, saldo in mezzo al turbinar de’ dardi e al lampeggiar del cannone. “ Radavàne urtò tra i Turchi, che ne riconobber l’insegna, affigurando la morte „. Egli muove contro il figlio di Saba Alì. “ Il garzone, appena il vide a sè venire grande e terribile, senza sgomentarsi, spinse il destriero, e corse ad incontrarlo, agitato nell’animo. — Vieni innanzi, disse Radavàne : indarno codesta gente, che ora