Cap. XIV — I poemi e la critica 213 che son venuto via notando e che tutte insieme arrestano la facilità della lettura. Dappoiché il vero poeta se, nella lunga via, perde d’ispirazione (e ciò è umano : quandoque bonus saepe dormitat Homerus), non deve perdere mai quel-l’equilibrio, che rende almeno leggibili le sue concezioni più umili, le quali, nei rapporti delle creazioni geniali, sono, vorrei dire, come brevi riposi della mente. A buon dritto il Milosào passa per il suo capolavoro, sebbene non ne sia perfetta la costruzione e resti molto indietro alle creazioni dello Skanderbeg e dello Specchio. Esso è un poemetto, che presenta uno schema di organismo ed una tela semplice e perspicua, doti che cerchi invano negli altri poemi, e che nelle edizioni posteriori andarono alquanto appannandosi per l’ingombro indigesto, che rimove da essi ogni più coraggioso lettore. Se il disegno dello Specchio fosse stato più sobrio e da esso fosse stato sfrondato tutto ciò che è troppo e vano ; se i contorni, che sono tanta parte delle produzioni artistiche, fossero stati più elaborati, esso sarebbe un poema da mettere a paro coi maggiori. Questa è l’opera poetica, su cui l’autore principalmente poggia la speranza della sua fama e su cui tuttavia, a 89 anni, non domo dalle sventure, non vinto dalle privazioni, non affranto dall’età, lavora con alacrità giovanile. Son passati pochi mesi e componeva in un lampo di genio due nuovi canti, che saranno innestati al secondo libro dello Specchio di Umano Transito e che sono, dice il poeta, creazioni le quali rivaleggiano con Omero pagano. A 89 anni! È un fenomeno che meraviglia e percuote di un alto senso di venerazione.