296 L’Albania e l'opera, di G. De Rada parola ào-cVjp, nella quale le vibrazioni della p di suono doppio stan ferme sulla base fissa della radice st (oi), figura l’eterno stare e il raggiare de’ corpi celesti; mentre la mente latina, avvisandovi specialmente la parvenza uguale, levigata,' di luce immutabile, espresse l’idea colla parola stella; l’anima albanese, invece, accogliendo i lucori mattinali, dileguantisi nella profondità dei cieli e quasi attenuati per andarsene ai loro destini, dal vanire di esse, le chiamò la stella iil (il), figurando nel plurale ìljzit i tanti fulgori dell’ampia notte. Inoltre la qualità che hanno molte parole albanesi di ridursi e prodursi, imprime un ritmo al linguaggio, che rivela l’interno dell’anima. DI qui le varie facce dell’idea, che esprime una stessa parola: mòttin, tempo, per esempio, indica l'idea ferma ed eguale del tempo: ma se devesi rilevare la durata, si contrae prolungandosi in moon (mòn), tempo lontano, infinito, eterno. Da qui la facoltà della lingua albanese di addolcire i suoni o inasprirli, onde la sua potenza poetica, principalmente lirica ed elegiaca (1). (1) Perche gli albanologi non si lascino indurre ad affermazioni precipitose rispetto alle forme grammaticali della lingua albanese da studi di dialetti isolati, riferisco qui alcune poesiette del manoscritto di Chièuti (Capitanata), che per l’antichità (1770) ha, come ho notato qui dietro, un'autorità grandissima. Queste poesie provano le innumerevoli varietà alfabetiche, fonetiche e morfologiche. Letterariamente sono de’ piccoli capolavori, una ragione di più perchè, ad onore del nome albanese, io debba offrirle a’ miei lettori come una primizia. Sono tre strofe di ima ninna-nanna al santo bambino, tradotta liberamente in versi nel dialetto calabro-reggino (siciliano?). Metto accanto all’albanese la mia traduzione letterale, a cui fa sèguito l’altra. Lascio intatta la grafia. i. i. Ndèjmé duarS, ghièla jme, Posami le manine, o vita mia, nel seno che m’arde d’amore ; cerca di dormire un pochino qui tra (le mie) braccia, perchè io non vorrò cantarti assai [conosco letto. tech i pèrvéliuam ghij; sci té fléesc gné dérrima chiétu ngraXb, se strat’u sdij; duat’ e chéndógn sciume gnéra té té uù mé ghiùrné. finché io t’addormenti.