274 L'Albania e l'opera di G. De Rada IV. A questi scritti farraginosi e direi refrattarii ad ogni lettura, non fu data alcuna importanza. Di essi si occuparono solamente il Bucholtz e il Nicolucci. Il primo in una recensione dello scritto Pelasghi ed Albanesi (1) non appare molto esperto in simili studi; tuttavia non manca di fare qualche osservazione sensata, e conclude col mostrarsi convinto della verità della tèsi dell’A., che cioè gli Albanesi siano gli antichi Pelasghi. Più circospetto, il Nicolucci dà ampia ragione ai De Rada sul fatto che gli Albanesi sieno gli antichi Pelasghi, ma soggiunge che “ luce piena verrebbe alla questione dal deciframento delle iscrizioni euganee e messapiche, le quali, se si potessero interpretare con l’albanese, solleverebbero il velo che avvolge i Pelasghi (2). Qui però mi sia lecito riportare, sul carattere della lingua albanese, il pensiero d’un eminente glottologo, l’Ascoli, anche perchè la parola del grande maestro serva d’ammaestramento agli albanoflli. Sebbene il suo scritto, divenuto ormai rarissimo (e questa è un’altra ragione perchè io lo riproduca qui, in parte), risalga a trentasei anni fa, e in esso egli siasi occupato di lingua albanese solamente di passaggio, trattando della Grammatologia albanese del Camarda; pure le sue idee sono ancora così opportune e giuste, che paiono fresche e recenti. * Il problema della determinazione scientifica della lingua albanese, egli scrive, va tra i più ardui, e chi non (1) Girolamo de Rada, Sui Pelasgi gli Albanesi, critica di Hermann Bucholtz, pubblicala nella Letteratura Internazionale di Lipsia, su l’ope-relta di G. D. R. Pelasgi ed Albanesi, edita in Napoli nel 1890 (estratto e tradotto in italiano). (2) In una lettera che il Nicolccci indirizzava all’A., pubblicata nel Fiàmuri Arbérit, IH, 11, copertina.