326 L'Albania e l'opera di G. De Rada rezze e cadde pure la sua indipendenza. Dopo di lui (1850) furono preposti all’istituto vescovi latini, che dalle loro sedi lontane lo governavano con semplici preti. La sua autonomia fu vulnerata prima dal governo borbonico, che, rinnovando il tentativo di Gioacchino Murat, inteso a trasferirne la sede a Catanzaro, disegnò traslatarlo a Napoli, e, mancato il buon successo, d’imporre la sua ingerenza, secondato dal Ministro Scura, albanese, che, per saziare le brame dei suoi, creò una Commissione amministrativa di nomina regia. Garibaldi, memore del valore degli Albanesi, rivolse ad esso le sue benevoli cure, dipoi il Governo italiano vi fece capziosamente e prepotente-mente man bassa. Il Ministro Mancini non diede esecuzione al Decreto prodittatoriale e recentemente il Ministro Giannuzzi-Savelli impose, con baronesca iattanza e contro le tavole di fondazione e il deliberato della Commissione, che si accettasse a posto gratuito un alunno, che gli stava a cuore e che non avea nessun dritto. Si tollerò che gl’insegnanti fossero sprovvisti di abilitazione e si permise che, caduto in mani inette e rapaci, ne fossero dilapidate le sostanze. Tardi s’accorse il Governo dello sfacelo e credette di dargli assetto con 1’ opera di un Commissario, che, dopo due anni, mise in luce le gravi irregolarità e le malversazioni degli amministratori per somme rispettabili, ma che fu inetto a sanare le sue piaghe. Ora, segue il De Rada, si è riaperto con nuovo assetto e ordinamento: gli Albanesi d’Italia e della madre-patria troveranno in esso la luce del sapere e la fratellevole comunanza di pensiero e affetto. Ma è necessaria l’istituzione di una cattedra albanese, perchè un istituto albanese senza l’insegnamento della lingua nazionale, è un non senso. Dopo poco torna in campo più vigoroso che mai. Si chiedeva la fusione del Collegio coll’istituto Pezzullo, un’opera pia disgraziata, che, a mente del suo fondatore, con-