262 L’Albania e l'opera di G. De Rada il traco che ha probabilmente lasciato qualche scarso e logoro vestigio nel dialetto de’ Pomachi bulgari, è ormai spenta (1). Non mi è lecito, per i limiti che ho dovuto imporre a questa mia opera, discutere dettagliatamente tutte le opinioni del De Rada, ma devo accennare che la tradizione, che egli costituisce come caposaldo della sua intuizione, può aver qualche valore quando sia discussa e rischiarata al lume della critica. Non intendo cosa si possa concludere, a favore degli Albanesi, suH’affermazione di Omero, Erodoto, Strabone e Dionigi d’Alicarnasso, ecc., della presenza de’ Pelasghi nel mondo ellenico e estraellenico. Questa ò una quistione di storia e di etnologia, che interessa tutti i popoli del Mediterraneo. Sia pure dimostrato che un popolo, chiamato pelasgo, abitò, nei tempi vetusti, nelle tre penisole che chiudono il bacino orientale del Mediterraneo: da ciò potrebbe scendere questa deduzione, che i popoli ariani che le abitarono si chiamavano Pelasghi e che noi ne siamo i discendenti, compresi gli Albanesi. Ma se non si può, per il momento, dimostrare, ciò non nuoce affatto alla causa nazionale. Un popolo, abbia o non abbia per progenitori i Pelasghi, vanti o no nella sua galleria storica Achille, Alessandro, Pirro, Diocleziano e Giuliano, importa poco. Il dritto delle genti non ha bisogno delle genealogie, e il ciere palrem è dei superbi e neghittosi. Dall’altro canto una tradizione ricordata dopo mille e più anni, come quella di Virgilio, che fa 1 Troiani consanguinei agli Epi-roti, ha un valore molto limitato e deve essere saldamente confortata da altri argomenti. Omero fa Achille, Aiace ed Ettore consanguinei : ottimamente. Si raccolgano tutti questi fatti, si ordinino, si discutano, tenendosi conto natu- (1) Prossimamente pubblicherò i risultati delle mie ricerche sui rapporti etnografici e linguistici delle razze traco-illiriche. Ivi la questione sarà trattata largamente.