Cap. XVII — Scrìtti filologici 261 questa teoria è conseguenza del metodo della sua ricerca, che pone per base dell’albanese il dialetto scutarino, il più impuro e il più intaccato dei linguaggi, in mezzo a’ quali l’albanese si svolse. L’antichità della lingua albanese è provata, segue il De Rada, dal suo organamento. È un argomento che nessuno ha oppugnato, neppure il Meyer. Lasciam da parte l’identità di voci albanesi con latine, che l’autore mette a fronte ;e che ora, dopo i lavori di Miklosich e Meyer, son cresciute smisuratamente: sta il fatto che l’albanese, per il suo organamento flessivo, offre l’impronta dell’antichità, come l’offre il sanscrito, lo zendo, il greco, l’italico e il gotico. B ciò basta per darle carattere di antichità e di resistenza. Quando si pensi che il daco e il latino, fusi insieme, si trasformarono in una lingua romanza e che il kutzo-valacco, nato dalla trasformazione e fusione del vernacolo latino col dialetto macedone, è anche esso una lingua romanza, non si può non riconoscere, con stupore, la grande antichità e sopratutto la grande forza conservativa dell’albanese, paragonabile per ciò col greco moderno, che, con esso, ha resistito agl’influssi romanzi, lo non posso qui distendermi in particolari: accenno solo qualche fatto, ed è che l’albanese ha l’aoristo accanto al perfetto, e che la formazione del primo ritrae dall’aoristo greco e quella del secondo dal perfetto latino. La povertà de’ tempi è segno della sua primitività e per contro altri suoi caratteri, affatto distinti da quelli delle lingue classiche, la rivelano una lingua a sè, con svolgimento proprio e indipendente, Ma ciò non deve autorizzare il De Rada e i suoi seguaci a ritenere che l’albanese sia anteriore al greco. Io credo invece che la lingua donde esso è nato (si chiami pure pelasga e frigia o diversamente), siasi svolta parallelamente alla greca, originando una famiglia linguistica che, tranne l’illirico, il quale vive nell’albanese, e il daco, che sopravvive nel rumeno, e forse