Cap. XVI — Gli Stati rappresentativi 231 Il secolo XVIII vide alimentarsi di queste idee i filosofi, che, nati in umile loco, agognando avvicinarsi a’ baroni e ai re, e repulsi, inveleniti, ridiventano i figli e gli amici del popolo, che essi doveano trarre al divino vivere delle città pagane. Il teatro, dopo Corneille e Racine, non offerse che eroi della mitologia : Voltaire preferì perfino soggetti turchi, quasi per eccitare le plebi a lasciar il mondo cristiano negletto, e si credette aver sepolto il medio-evo e gli spiriti magni di Dante, Camoens, Tasso, Shakespeare, Milton, Calderon. Qualche anima eletta, incapace però a creazioni fortemente originali e a rappresentazioni vere ed ideali, giovandosi dello strumento della parola, come involucro esterno del pensiero, cercò preparare una generazione degna e capace di raddrizzare gli Stati. Questi fu l’Alfieri, che trasse nella sua poesia i personaggi di Plutarco. Lo stesso Schiller non potè sfuggire all’ambiente. I suoi rumorosi successi li dovette alle sue ispirazioni rivoluzionarie, a scapito, qua e là, dell’ eccellenza artistica. In Inghilterra venne intanto determinandosi il culto degli utili, che ebbero i loro apostoli in Bentham ed Hume. L’utilitarismo e il paganesimo nell’ arte e nella fede generò, secondo l’autore, la rivoluzione francese, che fu una lotta di classe, una lotta per la vita: la libertà era come un raggio di sole caduto in una cloaca. Il classicismo allora dominante, che riteneva la società un artifizio, procedente da uno stato di naturale isolamento, legittimò il disfacimento della società; la monarchia fu abbattuta e in sua vece create le Rappresentanze del popolo, che divenne sovrano, ma che, non potendo esercitare in massa la sua sovranità, delegava la sua onnipotenza. Cosi il popolo si spogliava della sua conquista e ridiventava nihil. La rivoluzione credeva di modéllare il nuovo stato sulla costituzione inglese; ma era un’allucinazione: la costituzione inglese era un residuo delle monarchie emerse dagli Stati feudali.