146 L'Albania e l’opera di G. De Rada con operosa lena intendono a demolir la loro lingua, la loro stirpe e la loro nazione. “ Ma albanese son pur io, esclama piena di ambascia Evòda, tra il crepitio delle fiamme che le divorano le carni: albanese mio padre e mia madre! „ Uno schianto spacca il nostro cuore. Il terribile poeta ritrae il viso dalla maledizione di Dio, inorridito dalla propria durezza e ritrova se stesso, l’albanese che adora la patria sua, cui ha consacrato la finalità della sua vita e settant’ anni di lavoro costante e fidente. E il suo genio crea una scena che vi percuote di grata e amabile meraviglia. In Italia, sopra un colle, canta il poeta, su cui poi s’in-nalzan le case del suo paese natio, una donna, la madre sua, tornata dal mondo de’ defunti, vestita del peplo maestoso, appresta al figliuolo, il poeta, lo scudo di casa sua, e pone in mano una bandiera, la banderia dell’Albania, con l’aquila bianca regina del mondo, cui augurosi carezzano i venti; dipoi ella, mestissima, gli cade in ginocchio e prega, tacitamente, perchè il figlio imbrandisca lo scudo e mova alla conquista della libertà della patria. Così prega, e con lei da lontano, fra gli aneliti della morte, dalla cima della pira ardente, prega Evòda. Il cuore sussulta di tenerezza soave dinanzi alla maestà della patria, dinanzi al vecchio poeta, sempre giovine, dinanzi a questo campione dell’Albania, che ha spiegato a’venti il vessillo della patria e ha sonato a riscossa ; balza di commozione profonda dinanzi alle sacre memorie de’ “ divini Pelasgi „, di cui la fatidica quercia di Dodona è effigiata nell’arme di sua famiglia (1), dinanzi all’umile villaggio d’Italia, da cui le storie narreranno che è partito il grido di guerra della libertà d’Albania (2). (1) Lo stemma gentilizio di Casa Rada è una quercia sormontata da tre stelle. (2) Riferisco qui, come saggio, la scena di Radavùne, che, sentita la notizia della morte di Paraìle, va al sepolcro di lei :