Cap. V — L’ “ Albania „ 81 vita e indarno Stanìsa la rivide. Una domenica udissi nella corte uno scalpitìo e di poi nitriti di cavalli: era l’ava di Adine, la duchessa de’ Thópia, che avea seco portato il firmano di libertà per Adine. Ma l’aiuto era venuto troppo tardi: una mattina la campana annunziò la sua morte. Stanìsa accorse e si buttò su lei per saziarsi di pianto, ma il seno gonfiato dall’ angoscia, le scoppiò ed ella cadde in ginocchi, tenendosi con le belle mani nelle braccia dimagrite di lei, e invano sforzandosi di cogliere il cielo con gli occhi. Videlàide, che non appare nell’edizione del 1847 ma solo in quella del 1848, come è l’ultima delle Quattro Storie, così è anche quella che è priva di qualsiasi valore letterario. Lo sdilinquimento dell’anima e le sottilizzazioni del pensiero involuto e irriducibile raggiungono il colmo, e l’oscurità è così densa che, per quanto vi si legga e rilegga, non si arriva a raccogliere il senso pieno e compiuto. S’intravede che Videlàide è una giovane patrizia albanese, la quale salpa dalle coste adriatiche su una nave condotta dal nobile signore albanese Mosgràve e va sposa al sultano Selim. Sulla nave ella incontra una bella donzella spagnuola, che, accesa d’amore per Mosgràve, avea abbandonato la casa paterna per seguire l’amante, il quale dal canto suo tacitamente acceso, a quanto pare, di amore per Videlàide, la discaccia da sè. Quello che avviene di Masgràve e della bella spagnuola dopo che la nave fu arrivata a Costantinopoli, diffìcilissimamente si può raccogliere, per quanto si tenda l’arco della mente. Pare anche di poter comprendere che Selim partì poi per domare un’ insurrezione albanese e che Mosgràve e la spagnuola perirono non si sa come e che Videlàide, vedendo Selim tardare a venire, si sia spenta lentamente nel desiderio di lui. Marchiano. V Albania e l'opera di G. Di Rada 6