Cap. VII — Lo “ Specchio di Umano Transito „ 133 I Dukagini partono, e la notte riposano nel palazzo ducale di Dagno. Bósdare, che aveva collocato i suoi affetti in Olimpia, che, vergine ancora, l’avea accolto nel suo morbido letto, tornossene in Arta. La notte, mentre stridea la procella, desiderandò l’amata, uscito di casa, è colpito dal fulmine. Spaventata, presaga, col viso cereo, Olimpia, al tumulto che le percuote le orecchia, s’avvia per scender le scale, ma alla porta le appare lo spettro del guerriero e cade fulminata. Seraflna va in Arta per curare all’aria natia la salute di un figlio pargoletto Ma esso le muore. Affranta, inferma di febbre ostinata, langue. L’arrivo dei due giovanetti figli la ristora un momento. Ma ornai, sentendosi sempre più. vicina al dubbioso passo, scrive il suo testamento morale. Poscia le pare che un velo le cada dagli occhi e veda sè, vergine, donna, signora di casa magnatizia, veda l’immortalità, che il tempo dona al suo genio. E la bella donna, principessa del Drino, fatata all’amore e alla virtù, poetessa di leggiadre canzoni e giovane ancora, passa ; passa mitemente, nè sentendo, nè sentita, mentre, in sul crepuscolo, passa il sole. n. II poema Specchio di Umano Transito, venuto in luce dopo i pareri della critica intorno le altre produzioni poetiche dell’autore, disgregate e sconnesse, presenta maggiore unità e coesione tra le parti, e ha sullo Skanderbeg e le Quattro Storie il vantaggio di cantare un solo soggetto, la vita di Serafina Thópia. Tuttavia resta assai lontano dalle epopee antiche e moderne, e, in certo modo, s’avvicina per questo rispetto, alle epopee indiane, ove le sovrapposizioni e gli strati posteriori hanno il peccato d’origine e le incoerenze delle opere, che, elaborate da ingegni diversi e fra loro distanti, mancarono di abilità ad adattare