374 L’Albania e l'opera di G. Le Rada titolo di venerando. Cesare Cantù scrive : “ Cresce dunque la lingua albanese, fra gravi contrasti ; G. De Rada ha fondato un giornale, ha composto un poema, ed è considerato come il patriarca di quella lingua. Consumate le sostanze e la vita ad incremento del suo paese e della lingua, Analmente ottenne si fondasse una cattedra d’albanese nel Collegio di S. Denietrio Corone „ (1). Questo largo consentimento nell’ idea di un essere sacro e di un uomo superiore, creò intorno la sua persona come una divina e pietosa leggenda, in cui concorron la sua prescienza, la fede incontaminata, le sue sventure e l’amore alla patria, nel suo seno non consumabile mai. Da qui il rapimento e l’enfasi dei poeti, che effigiarono la sua arcana figura, comparandola a quella de’ più possenti intelletti. Il principe Skanderbeg marchese d’Auletta, rampollo dell’immortale eroe del secolo XV, in un suo poema inedito, canta: Ainsi que doit sa langue a Dante l’Italie Doit la sienne à De Rada aussi bien l’Albanie; Et lui non moins que Homére a noblement chanté Les heros de l'Epire et de la Chrétienité (2). E Leonardo De Martino, poeta albanese, pieno l’anima di dolore profondo e d’ammirazione smisurata per il venerando poeta, finiva lugubremente una cantica : Vo’ dirlo al mondo intero : Quello che Skanderbeg fe’ con la spada, Fai tu con l’aurea penna, o gran De Rada. Teco, nell’ardua strada, A rendere maggior la tua figura Pari al genio e alla fede hai la sventura (3). (1) Cantù, Letteratura delle Nazioni. Saggi in relazione alla Stor. Univ., P. II, p. 669. (2) Skandebbeg, in Camet, Les Alba-nais et la demonstration navale, p. 13. (3) De Martino, A G. De Rada, in Rivista Garganica, An. 1899, 32, luglio e in un foglio volante.