Gap. 1 — Vita 51 mattine estive fu visto sotto un’annosa quercia, presso la casipola, all’aperto, intento al lavoro, con di fronte il mare largo e lontano e alle spalle il ceduo bosco di Soverèto. Componea, d’ordinario, le sue creazioni a suon di musica, che egli nell’Estetica, chiama la prima e la più nobile delle arti belle ; o che essa gli giungesse alle orecchie armoniosa da un pianoforte, o, più frequentemente, negli anni della sua solitudine, da una cetra o da un organino, che si faceva intonare dai figli e nipoti, o dai pifferi del fratello Camillo. Le note percuotevano potenti sul suo spirito, e allora la fronte diveniva raccolta e pensosa, il viso s’imporporava e lampeggiavano i piccoli e vivissimi occhi. La mano scarna scorrea rapida sul foglio, trepida e convulsa; fremevano le fibre, accelerava il cuore i suoi palpiti, lo spirito l’avvolgea nel fiume del pensiero con bacio divino, e l’anima, spogliata di ogni visione esteriore, accesa e trillante, cantava. Chi lo vide in questo atteggiamento, mirava la luce paonazza del suo viso e s’arrestava, dinanzi al fenomeno, attonito e riverente, come dinanzi a un nume. Affatto incurante del culto della persona, sobrio, modesto, aveva, prima di raggiungere la decrepitezza, l’abitudine di far la via, dalla sua vigna al paesello, cinque o sei miglia di érta malagevole e in mezzo a burroni, a piedi, vestito con dimessi e poveri panni, con una lunga canna in mano e colla fronte china e pensosa. O che spirasse il vento o imperversasse la pioggia o affocasse la caldura d’estate o rumoreggiasse il torrente, egli, impavido alle intemperie, percorrea a piedi quell’ aspro calle. E una volta, tragittando su di un asinelio il torrente Ematio, la piena lo portò seco insieme colla bestia, e l’avrebbe inghiottito tra’ suoi gorghi, se, abbandonato l’asinelio, non avesse superato, con giovanile vigore, l’onda rumorosa del fiume. Fervente cristiano e cattolico scrupolosissimo, non si ricorda dai suoi conterranei che avesse trascurato, pur