Cap. XIX — Fiàmuri Arbiirìt XIII. Quanto al Collegio albanese d’Italia, da cui sprigionossi nella persona del De Rada la scintilla, che accese i cuori e la questione albanese, esso dovrebbe rammodernarsi per compiere la sua nobile missione di faro delle colonie italo-albanesi e dell’Albania. Una legge dovrebbe, pur rispettando la volontà del fondatore, sopprimere gli ordinamenti antichi, che ne ristagnano lo svolgimento pratico ed efficace. L’Istituto dovrebe essere eretto ad ente autonomo, a benefizio degli Albanesi di tutte le colonie e della madre-patria, sotto il controllo del Governo e alla dipendenza del Ministero della Pubblica Istruzione, con solo diritto di vigilanza. La trasformazione ad Istituto internazionale che propongono alcuni illusi sarebbe un non senso, nè il fondatore ebbe mai questa stranissima idea, nè il Governo italiano potrebbe, legalmente, anche volendo, concretarla. I capisaldi del nuovo ordinamento dovrebbero essere le rette minime degli Albanesi, con un leggiero rimaneggiamento di esse e delle tasse; 1 posti gratuiti e semigratuiti per i meritevoli e a benefìzio delle colonie e della madre-patria, regolati con norme Asse; l’ampliamento de’ locali e de’corsi con l’aggiunta agli studi classici di una scuola tecnica, di una scuola agraria e di una cattedra di lingua, letteratura e storia albanese e, se mai, con un insegnamento di liturgia per la conservazione del rito greco-unito. Le finanze si ristorerebbero (cosa ormai in via di esecuzione) con la conversione del suo patrimonio in rendita sul debito pubblico, con la rivendicazione de’ beni usurpati, con la liquidazione de’ crediti passati in giudicato. Stato, Comune e Provincia dovrebbero concorrere con una somma tenue ma fìssa al suo mantenimento, anzi una legge potrebbe estendere quest’onere a tutti i Comuni albanesi delle Calabrie. L’istituto parificato a quelli dello Stato con un