Cap. VII — Lo “ Specchio di Umano Transito 143 quale cade trafitto il pascià (1), viene via via oscurandosi nello Specchio di Umano Transito. Egli è l’amante di Sera-fina, la donna armonica ed ideale, su cui innalzare gli sguardi pare al poeta quasi un sacrilegio. Ma è cavaliere gentile e d’alto valore, ardente della libertà della patria, per la quale prova le amarezze dell’esilio. Egli vince i Turchi presso Arta e li stermina in una costa di ulivi con un mezzo, che non è venuto in mente ad altro guerriero, che a Scipione Africano, con un incendio suscitato sugli ulivi con fascine di fornaci, che i soldati albanesi lancia-van sulla costa (2). La concezione è nuova e terribile, ma se il fatto ci desta dei fremiti, non ci agghiaccia il cuore come l’incendio delle tende numide di Siface, che fu una perfìdia contro nemici, i quali non avevan altra colpa che difender la prpria terra. Eppure questo eroe non trova grazia appresso il poeta. Skanderbeg, che ebbe parte in quella pugna e a cui egli, dopo quell’eccidio, apparve, nella speranza che il principe albanese gli baciasse in fronte la vittoria, tenne un contegno duro ed ebbe per lui amare parole (3). Questo personaggio è una contraddizione, una personalità contesa da due potenze, quella del bene e quella del male, che vince. Il poeta sente inestinguibile il bisogno di offrire all’ ira di Dio le sue creature. Si direbbe che la tenacia alle sue convinzioni religiose è più potente dell’idolo delle sue creazioni; e a questa idea ha sacrificato perfln l’armonia de’ suoi poemi, la loro compostezza e l’equilibrio de’ suoi sentimenti estetici. Forse egli, tratto dalla sua natura veemente e dalla irresistibile qualità teistica del suo ingegno, ha fatto servire Dio come il classico fato. E Bósdare è designato in questo poema quale vittima del fato, ossia dell’ira celeste. Per lui nella (1) Skanderbeg, III, 3. (2) Specchio, II, 5. (3) Specchio, II, 5.