144 L'Albania e l'opera di G. De Rada concezione del poeta, è delitto la orrida morte di Evòda, che avea promesso liberar col bambino, ma che i soldati reclamano quale pascolo alla loro vendetta e dannano a morire su una pira, per punirla di essersi fatta sposa ad un greco rinnegato, divenuto turco e poi fiero nemico dell’Albania. Le colpe del cavaliere crescono e diventano empietà, che attraggono i fulmini divini. Perduto in modo cosi crudo l’amore di Seraflna, ei volle soffocare in un amore impuro e colpevole il suo dolore, circuendo con le seduzioni Olimpia, legata con vincoli di sangue a Seraflna, e violandola. Il nobile e gentile cavaliere, avvenente e sfolgorante d’oro le vesti, in cui percuotevano con tanta tenerezza i desideri della aristocratica ed altera Seraflna, divien una figura cupa, fosca, circondata di pauroso mistero e a misura che si avvicina al suo destino appare quasi selvaggia. La scena finale è spaventosa. È notte e stride rumorosa la procella: il vento par che voglia schiantar le case: fiamme serpeggianti segnan le tenebre. Bósdare, con nel cuore il desiderio di ritrovore O-limpia, discende di casa: nella córte il vento gira attorno attorno vorticoso : fuori, dalla porta che ha già aperta, la bufera lo sospinge indietro con impeto che gli toglie il respiro. Il cavaliere la vince ed è sulla strada. Ma in quella parvero ruinare, con immenso fragore, i cieli: una striscia fiammante irraggiò per le tenebre, e la campana echeggiò spaventosa nella quiete notturna. La scena è di effetto mirabile. Quella campana che echeggia lugubre, mentre la folgore colpisce il guerriero, è il segno, il ricordo, la voce di Dio, come dice il volgo, ed esteticamente in quel momento è sublime. Ma il poeta accresce l’orror della scena con la figura di Olimpia che, udito strepiti e pianti, intravede la tragedia, e corre ad aprire la porta. Ma alla porta, ritto, fosco, terribile, le appare Bósdare, l'ombra di Bósdare, che l’invita a fuggir seco, e mentre la donna fa per sostenersi al suo braccio, trova che egli