252 L’Albania e l’opera di G. Ve Rada che neanche i più benevoli potranno accettare e riconoscere per esatte o probabili. Ma anche a questo sentimento è dovuto l’intuito del suo intelletto a una verità lontana e divenuta per vetustà indistinguibile e nebulosa. Esso però gli ha velato l’occhio della mente, che appunto per questo non ha nè visto nè intravisto che le verità, anche intuite, vanno dimostrate; che la dimostrazione richiede la ricerca; che la ricerca va fatta entro certi limiti e con certi mezzi, e che questo genera il metodo, il quale, quanto più è rigido e implacabile col proprio sentimento, che può produrre il preconcetto e l’errore, tanto più è apprezzabile. L’assoluta mancanza di metodo ha offeso la verità, che è solo figlia della scienza e che, senza di esso, si può intuire ma non discovrire. Dall’altro canto l’equilibrio perfetto delle qualità raziocinative deve cospirare in amorosa concordia colla penetrazione, la larghezza di vedute, la dottrina scientifica e l’idealità, che è opera del sentimento; e il buon senso deve respingere da sè, a tutto potere, ogni isolamento intellettuale. Egli è necessario essere e mettersi in condizione di raggiungere la scienza e armarsi alla conquista, tanto più quanto più essa ci appare irraggiungibile e inespugnabile. Il De Rada era preparato, ma non armato dì triplice bronzo il petto. Se lo strumento principale della sua ricerca, la lingua albanese, era in lui un mezzo potente; se la sua cultura classica non ispregevole; se il sentimento che lo agitava, irresistibile, egli non possedeva però tutto quel corredo di lingue vive, che oggi sono divenute come una lente, attraverso cui si vede ed osserva il vasto panorama della scienza, che anch’essa è in continuo divenire; nè possedeva il tesoro delle biblioteche e i messi del sapere, che sono le riviste; nè risiedeva in un centro intellettuale, che avesse potuto aprirgli nuovi e larghi orizzonti. Egli dunque identifica gli Albanesi a’ Pelasghi. Ma chi