Cap. I — Vita 43 sti riunitosi a Roma nel 1898, e un’altra breve Prefazione alle Poesie albanesi, comparsa nella Nazione Albanese (1). In mezzo a tanta operosità coltivava con scrupolosa diligenza e paterno amore la scuola. Ormai vecchio di ottant’anni, tre volte la settimana dal suo villaggio si recava a S. Demetrio, percorrendo a piedi o a cavallo di un asinelio quattro miglia di via, nè rimuovealo dall’ob-bligo suo la pioggia o il sole, la fatica della via, i disagi e l’età cadente. Questo ufficio, che per altri, in quell’età, in quelle condizioni, col tenue emolumento di mille lire annue, che gli pagava lo Stato, sarebbe stato una pena e una condanna, era per lui un sacro ministerio. Noi, dinanzi a tanta virtù, chiniamo pensosi la fronte e ci domandiamo perchè di uomini come lui sia così avara la natura. Ma la morte, che l’avea colpito nella persona della moglie e del fratello Costantino da poco tempo, tornò a battere più crudele che mai, con rigido piede, alla sua porta. Il superstite figlio Rodrigo, che era tornato dal servizio militare dal tempo della morte del fratello Giuseppe, morì nel flore degli anni. Il dolore per questa ultima perdita, che lo rendeva orbo di figli e lasciava una giovine donna e due teneri figli nella più tetra desolazione, fu atroce. Colpito da commozione cerebrale, la sua verde vecchiezza parve venirgli meno, e sarebbe soccombuto al dolore e al male se la sua ferrea fibra non si fosse come ribellata. Quale uomo fatato alla rigenerazione della patria e ai puri ideali della vita, egli superò il fiero malore, come spirito, su cui nulla posson le potenze della natura nè le tempeste del mondo. Anche questa volta gli vennero affettuosissimi conforti dalla colonia e dall’Albania. G. Schirò in una delicata elegia gli augurava lunghi giorni (2), e un (1) Nazione Albanese, IV, 16, 17, 19. (2) Nazione Albanese, II, 1, IV.