80 11 Albania e l’opera di G. De Rada suo sposo e ormai anch’egli trapassato. Più. innanzi un altro quadro raffigurava Uràna e Vladèni, ohe in un campo erboso, miravano in mezzo a due fossi una vasca, entro cui appariva emergente da un fiume una Sibilla profetante i fati dell’ Albania. Ed ecco un altro quadro, ove è dipinto un fiume, da cui emergea la testa di un uomo, con attorno attorno, per la selva, guerrieri, e sul monte una citta deserta. Ecco l’ultimo quadro di dolorose memorie: presso una croce un cavallo, coi pie’ affondato nell’erba, rizzava il capo e tendeva le orecchie; pel cielo bruno passava una civetta, che andava ad appollaiarsi su un’urna sormontata da uno scudo: lì avanti un palagio, quello di Dèlia, ove entrava lo sposo, il quale diceale che la do-vea abbandonare, col presentimento che ella sarebbe caduta nelle mani di giovani Turchi. Il dolore a Dèlia si aggomitolò nel seno. Vestissi e colla figlia discendeva le scale per andare alla messa di mezzanotte; ma sdrucciolò e cadde. E giacque estinta. Adine è la storia, parimenti dolorosa, della figlia di Dèlia. Orfana, rimaneva ancora signora delle ricche ville ombreggianti il mare e de’suoi feudi: ma Delvìno era in potere de’ Turchi. Fiorente della beltà grata e severa de’ genitori, nel vico sottostante, la domenica delle Palme, vide passare i quattro figli del Pascià. Al primogenito, che calpestò con lunga eco la strada, ella affise uno sguardo mite, ardente. Il giovine, lei riguardante, distratto, cadde da cavallo. Ella cólta da improvvisa feminile paura mise incosapevolmente un grido. Quattro giorni dopo la madre del cavaliere la chiese in isposa per il figlio; ma la vergine respinse l’offerta, che veniva dai nemici della sua patria. A nome del Gran Signore le furono vendute le ville e i poderi ed ella chiusa in un monastero di Giannina, ove l’amicizia di un’altra patrizia monacella, Sta-nìsa le molciva il dolore profondo; ma dipoi da lei la divisero. Infermata, vedea spegnersele a poco a poco la