Cap. VI — Lo “ Skanderbeg „ 93 domandasse venia. Il pubblico, piaccia o non piaccia all’autore, non dà mai venia, anzi è più inchinevole al cru-cifige che all’osanna. Chi legge giudica il libro da quello che è e da quello che dovrebbe essere, e non altrimenti. Se il poeta avea disegnato di fermare artisticamente i momenti più drammatici della vita albanese; egli avrebbe dovuto dare un altro titolo al suo libro. Skanderbeg ci richiama sùbito, per un’ interna relazione tra l’animo nostro e lo strepito delle sue armi, alle guerre dell’indipendenza dell’Albania, che egli sostenne contro i Turchi. E intanto percorrendo il poema, noi ci troviamo dinanzi al fatto curioso che l’eroe da cui s’intitola il poema, non compare in iscena se non due o tre volte, e di esse una volta sola in modo degno di un protagonista di epopea. Nella prefazione premessa al IV libro egli accenna a pareri emessi in vario senso sull’ opera sua e si difende dalle accuse. La forma dei canti, ei dice, prese dai canti popolari albanesi. Dai canti popolari è sorta ogni epopea, come 1’ omerica, e sceverossi la lirica e la drammatica: di qui nel poema omerico la triplice forma epica, lirica e drammatica, che incontriamo anche in Teocrito. La materia, ei soggiunge, è attinta alla vita reale, varia, complessa, disforme; e le creazioni sono correnti della vita, la quale è rappresentata piena, abbondante, perfetta. Unità organica non ha cercato: ha cercato che le sue creazioni fossero come statue omogenee, poste in riga, in successive gallerie : le traversie della vita gli impedirono di poter abbracciare in uno solo sguardo la ricca copia successiva delle ligure. D’altronde, in ogni animo creatore prima si generano le concezioni vivaci ed affettive, poi dalla mente si dispongono ed ordinano allume, che soavemente armonizzando dall’ una si rifletta all’ altra, nè mai l’atto creativo ben segue l’artificioso preconcetto magistero della mente e le ubbidisce. Nè contro ciò vale l’esempio dei