130 L’Albania e l'opera di G. De Rada fina, col pretesto di un gita nella vicina città di Silagòra, scorre per il lido, in compagnia della madre, sul cocchio, ondeggiante i pensieri, tacita e rapiti gli affetti verso una nave che portava da sè lontano * il suo tempo felice Gli sposi si confessano dinanzi il patriarca (forse il patriarca di Costantinopoli), e convitati patrizii da ogni banda convengono nelle ampie sale della casa Thópia. Ma l’anno stesso (1443), Bósdare, che avea riparato in Italia, torna in Arta e trova modo (il poeta non dice come) di rivedere l’amata nella propria casa di lei. Algazìle, che avea condotta a’ suoi piaceri l’albanese Viola, e che avea trafitto il vescovo di Giànnina, appare fuori la sua casa, mentre di dardi fischiava l’aria e rintronavano le pendici del fragor de’ moschetti inverso il castello della città, avvolto tra le fiamme. In casa Strésio ordinavamo la resistenza a’Turchi. S’accende la pugna attorno il castello (la descrizione è assai disordinata e lacunosa) : Albanesi e Turchi s’avventano alla pugna con rabbia. Algazìle ferisce Costantino, fratello di Serafìna, ma cade per mano di Bósdare, che dalla bella donna riceve ringraziamenti. Seguon le guerriglie (veramente si deve intendere, perchè non vi è detto), e dopo sei di 1 Turchi sono sorpresi ed arsi in una costa di olivi, vendetta di Bósdare e.Skan-derbeg, che qui compare improvviso e ai lettori inatteso, vendetta uguale a quella presa su Evòda, patrizia albanese, sposata al pascià di Giànnina ed ora arsa su una pira crepitante alle fosche altezze della notte. Bósdare, appresa la nuova sconsolata che Serafìna andava sposa a Dukagino, abbandona Arta con l’anima sconvolta. La principessa compie il rito nuziale e a Zadrìma è salutata da turbe festanti, che le cantano, con lirismo scintillante di entusiasmi, augurii felici. Nell’Alta Albania la casa di Dukagino accoglie con o-spitale magnificenza il nobile Teodoro, duca di Dagno, congiunto di Serafìna, diretto a Lisso a far sue prove