— 93 - doni, 2000 arcieri, 500 frombolieri, 3000 cavalli e 20 elefanti approdò a Taranto, che subito costrinse ad abbandonare le sue mollezze ed a partecipare alla guerra con uomini e denaro. « Codesti barbari non sono barbari » diss’egli, quando si trovò per la prima volta di fronte ai Romani e scorse i loro accampamenti e li vide ordinati in battaglia; e due volte in vero li vinse, ad Eraclea e ad Ascoli di Apulia, ed ambedue le volte tanta fu la strage dei suoi, che la frase Vittoria di Pirro passò in proverbio per indicare un successo ottenuto a caro prezzo. E insieme al valore dei Romani egli ebbe anche a sperimentarne ben presto la virtù. La incorruttibilità di Fabrizio, l’inflessibile dignità del popolo e del Senato di Roma, col quale invano trattò di pace e di accordi a mezzo di Cinea, e infine la generosa condotta dei consoli romani, i quali gli fecero sapere che il suo medico aveva offerto di avvelenarlo, lo indussero a fare una tregua per il momento senza condizioni, per passare in Sicilia al comando di un esercito greco-siculo contro i Cartaginesi e i Mamertini (a. 278). Dopo aver combattuto in Sicilia con varia sorte, mortogli Cinea e tratto sempre a cambiar partito dalla sua instabile natura, abbandonò l’isola, e tornò a tentare la fortuna in Italia. Ma la fortuna non gli fu propizia, e presso Benevento fu battuto dal console Curio Dentato, avendo i legionari romani con frecce avvolte in stoppa ardente spaventati gli elefanti, che volgendosi indietro misero lo scompiglio tra le file degli Epiroti (a. 276). Dopo la disfatta di Benevento Pirro si ritrasse