- I52 - vare da sè soli la propria signoria, i dinasti albanesi si rivolgevano per soccorsi alla Serenissima e le offrivano il dominio delle loro terre contentandosi in compenso di modeste provvigioni annue. Venezia annuiva, nonostante il magro profitto che da quegli acquisti poteva derivare al tesoro dello Stato, perchè le premeva di opporre un argine al dilagare della potenza turca. B. Cecchetti in una comunicazione fatta all’/s/i-tato Veneto intorno agli stabilimenti politici della Repubblica Veneta nell’Albania [Atti del R. Istituto Veneto, nov. iSjy, ott. iSyj), ragiona molto acutamente intorno a questa politica, e le sue osservazioni possono anche servire di preambolo a quanto dovrò raccontare nel seguente capitolo. Talora, dice a un dipresso il Cecchetti, la Repubblica accettava senz’altro l'offerta dei signori albanesi, ma voleva che si allontanassero dalle terre cedute; o riceveva quei luoghi, morti i principotti, dalle loro mogli ; o li rifiutava, se il conservarli le avesse costato grave spesa. Quasi sempre incoraggiava i signori albanesi a resistere ai Turchi, ma occorrendo, consigliava pure la pace. Talvolta accettò quei signori come amici e tributari, quasi fossero investiti da lei di feudi con giurisdizione. Li accarezzò, ma sempre col minor dispendio possibile. Lece anche qualche scusa ai Turchi. Respinse, poi accettò del pari la signoria offertale da talune Comunità. Mandavano esse in tal caso loro ambasciatori a Venezia colle condizioni o capitoli della dedizione, i quali stabilivano i diritti della cittadinanza di fronte al Governo veneto. Questo li approvava o li modificava o respingeva per decreto